Victoria and Albert Museum

di Ivana Bruno

 

Musei d’arte e industria

Londra,  Victoria and Albert Museum  

Modelli artistici per l’industria

La Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations – prima esposizione a fregiarsi della qualifica di ‘universale’ – allestita nel 1851 in Hyde Park a Londra, all’interno di un’enorme struttura in vetro e ghisa, il Crystal Palace, gettò le basi di quello che sarebbe diventato uno dei maggiori musei di arti decorative. Organizzatore dell’evento fu l’architetto inglese Henry Cole (1808-1882), che si avvalse dell’appoggio del principe Alberto, consorte della regina Vittoria, dai quali il successivo museo prese il nome. La mostra mise a confronto la produzione di tutto il mondo e rivelò un panorama desolante, segnato da una carenza di creatività e da un basso livello qualitativo: trionfavano infatti, su tutti i versanti, gli stili del passato, alla cui influenza non si sottraevano neppure le moderne macchine industriali. Questo provocò dure polemiche che innescarono un acceso dibattito sul rapporto tra arte e industria, nell’ambito del quale emerse la proposta di Henry Cole di migliorare l’aspetto estetico dei prodotti affidandone la progettazione agli artisti.

 

 

 

In quel contesto, nel 1852, fu istituito il Museum of Manifactures con il compito di fornire modelli e fonti d’ispirazione ai designers e, al contempo, di contribuire ad educare il gusto del pubblico. Al museo, all’atto della sua nascita, fu connessa una scuola di disegno applicata all’industria.

Il primo direttore fu lo stesso Cole che avviò un’efficace politica di acquisti e, in poco tempo, incrementò notevolmente il nucleo originario, formato da oggetti provenienti dall’esposizione universale. Furono reperite sul mercato antiquario europeo intere serie di lavori, prime fra tutte la collezione Gigli-Campana (1858), con i suoi Donatello e Luca della Robbia. Un importante gruppo di stoffe medievali provenne, tra il 1860 e il 1864, dalla raccolta di Franz Bock, noto nel campo del collezionismo tessile con il soprannome di ‘studioso con le forbici’. Alle opere antiche erano affiancate copie di esemplari conservati nei musei di altri paesi – ottenute col gesso, l’elettrotipia e la fotografia – che venivano fatte circolare tra le scuole d’arte londinesi per essere studiate e copiate dagli aspiranti artisti.

Con l’accrescersi delle raccolte, nel 1857 l’istituto fu trasferito a South Kensington e fu ospitato, con il nome di South Kensington Museum, in un edificio che poco dopo venne ampliato e riadattato per volere del principe Alberto. I lavori furono completati tra il 1899 ed il 1909, sotto la direzione di Henry Young Scott e di Aston Webb, ed il museo assunse l’attuale denominazione.

 

 

 

L’ala più antica fu edificata tra il 1856 e il 1858 per custodire la donazione di più di duecento dipinti inglesi dell’ottocento appartenuti a John Sheepshanks, un industriale dello Yorkshire. Le opere furono suddivise da Cole in dipartimenti per tipologia, seguendo lo stesso ordinamento adottato nell’esposizione universale. Il direttore fece progettare grandi vetrine dove collocare quantità di oggetti disposti sulla base dei materiali, con l’intento di illustrare lo sviluppo di determinate tecniche artigianali e di fornire agli artisti e agli artigiani modelli locali e stranieri di varie epoche. L’architetto, durante la laboriosa costruzione della sede, concepì il cantiere come un museum of construction, dove ogni sorta di decorazione edilizia era esposta, catalogata e sperimentata dal vero.

Il museo divenne presto modello e punto di riferimento per strutture analoghe, visitato dai direttori di molte di esse, provenienti anche dall’Italia.

Con la fine della direzione di Henry Cole (1873) cessò anche lo spirito che aveva originato la collezione. I successivi direttori e conservatori abbandonarono i principi del fondatore per abbracciare nuove idee, sulla scia degli studiosi tedeschi (Gottfried Semper, Alois Riegl), che tendevano a reinserire le arti ‘minori’ nel contesto della storia generale dell’arte.

 

 

 

Le collezioni si arricchirono così di acquisti e donazioni che sconfinavano dall’ambito delle arti figurative. Fra questi particolarmente significative erano la grossa raccolta di dipinti di John Constable (1776-1837), le opere della scuola di Barbizon (1830), i dipinti di artisti francesi contemporanei dal lascito Jonides del 1901 ed i sette cartoni di Raffaello (1483-1520) per gli arazzi della Cappella Sistina. Nello stesso tempo affluirono da ogni parte del mondo raccolte di arti decorative, che spaziavano dal campo della ceramica al vetro, al settore tessile, all’oreficeria, al mobilio. Pur essendo mutata la fisionomia e la funzione stessa del museo, l’allestimento fino al 1945 mantenne la divisione in dipartimenti.

Con la ricostruzione, avvenuta negli anni Cinquanta, il cambiamento fu radicale. Le opere furono selezionate scegliendo le più rare e le migliori e furono create numerose period rooms, nelle quali i pezzi erano esposti in contesti coerenti con il loro periodo e stile. Al piano terra furono allestite le Primary Galleries.

Oggi della vecchia sistemazione resta memoria nei piani più alti del museo, dove sono esposti dipinti, vetri, ferri battuti, ceramiche e soprattutto tessuti ancora in armadi a tiretti di legno.

 

Bibliografia

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