OADI Marche

a cura di
Benedetta Montevecchi
Mostra “Il baldacchino “di gusto cinese” di Magliano Sabina e il cardinale Annibale Albani. Storia e restauro” – Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 6 novembre – 15 dicembre 2015

Presso la Galleria Nazionale delle Marche di Urbino è stato esposto un magnifico manufatto tessile, ricamato ad applicazione con sete, oro e argento, appena restaurato. Si tratta di un baldacchino che il cardinale Annibale Albani, vescovo di Magliano Sabina tra il 1730 e il 1743 aveva donato alla sua cattedrale nel 1737.  Definito nell’inventario della visita pastorale del cardinale Andrea Corsini (1779) “… trono nobilissimo di velluto cremisi riccamente e vagamente ricamato con punto e con gusto cinese…” e poi nel 1872 dal conservatore del patrimonio culturale dell’Umbria, Mariano Guardabassi “paramento di trono di un dignitario cinese”, il baldacchino era verosimilmente un arredo profano – forse per un letto da parata –  che il colto e raffinato cardinale Albani aveva fatto rimaneggiare e adattare per la sua cattedra episcopale. I motivi profani ed esotici del fitto decoro a rabeschi, con animali reali e fantastici, architetture, paesaggi e figure (fig.1), attestano il gusto per le cineserie diffuso in Europa tra Sei e Settecento, e il ricorso a modelli tratti dalle illustrazioni di libri e resoconti di viaggio, come le stampe della Legatio Batavica di Johan Nieuhof (1665). I ricami sono distribuiti sulla superficie delle cascate (fi.2) e del dossale, al centro del quale un ovato racchiude una scena di sacrificio umano ad una divinità azteca (fig.3), anche questa ripresa da una stampa inserita nella storia della conquista del Messico di Antonio de Solis (1691). L’apparentemente incongruo accostamento tra ‘chinoiserie’ e ‘americanerie’ è significativo del generico interesse per l’esotismo tipico dell’Europa del tempo, un esotismo che, nell’ambito particolare dell’arte tessile, avrebbe determinato l’affermazione dei tessuti bizarre.

Lo splendido manufatto, in uso fino agli anni ’60 del Novecento e ora purtroppo privo del cielo, è stato restaurato da Barbara Santoro e Zahra Azmoun sotto la direzione di Barbara Fabjan che ha anche ideato e curato la redazione del bel volume Il baldacchino “di gusto cinese” di Magliano Sabina e il cardinale Annibale Albani. Storia e restauro (Gangemi Editore, Roma 2015). La pubblicazione contiene l’importante saggio storico-critico della curatrice che approfondisce tutti gli aspetti di questa inconsueta e complessa opera d’arte applicata, anche alla luce degli interessi di raffinato committente e mecenate del cardinale Albani; un interessante testo di Roberta Orsi Landini sulle sete usate per il ricamo, ovvero preziosi tessili provenienti da abiti dismessi ed elencati in un ’atlante’ redatto dalle due restauratrici alle quali si deve anche la meticolosa relazione del lavoro fatto; e la presentazione di Anna Imponente, già soprintendente per i Beni storici artistici ed etnoantropologici del Lazio e attualmente soprintendente per le Belle Arti e il Paesaggio delle Marche. Tale favorevole congiuntura ha suggerito l’organizzazione di questo evento dove la committenza del cardinale Annibale Albani è stata ricordata anche con l’esposizione di alcuni parati e oreficerie sacre da lui offerti alla cattedrale di Urbino, sua città natale.

 

  

Pesaro, Palazzo Mosca, Musei Civici

Mostra “Bianco. Dalle stanze segrete al candore della luce”, 20 dicembre 2014 – 14 giugno 2015

 

Nel 1885 la nobildonna Vittoria Toschi Mosca lasciava alla città di Pesaro il palazzo Mazzolari, da lei acquistato e in cui aveva collocato le sue preziose e amplissime collezioni d’arte applicata, con l’obbligo di “stabilirvi un pubblico museo”. Una piccola parte di quell’eclettico insieme di oggetti è oggi esposto permanentemente nei Musei Civici pesaresi, accanto alle grandi collezioni che annoverano capolavori assoluti come la grandiosa Incoronazione della Vergine di Giovanni Bellini. L’intero nucleo delle raccolte d’arte decorativa è invece ordinato nei depositi dove sono stati avviati da tempo sistematici interventi di restauro. Alcuni dei materiali più preziosi e spettacolari (i tessuti e i merletti, gli stipi, il magnifico servizio da tavola napoleonico) negli anni passati sono anche stati oggetto di studi specialistici, raccolti in raffinate pubblicazioni.

Nell’intento di fare conoscere questo interessantissimo, multiforme e sconosciuto patrimonio ad un più vasto pubblico, la Direzione dei Musei Civici ha progettato una serie di eventi espositivi per presentare le collezioni dei depositi con cadenza annuale e in base a scelte tematiche.

Il 20 dicembre scorso è stata inaugurata la prima mostra dal titolo “Bianco. Dalle stanze segrete al candore della luce”. Il tema conduttore è stato infatti il bianco, declinato in tutte le sue molteplici valenze e varianti, dal bianco traslucido dell’alabastro a quello morbido e cremoso dell’avorio, dal bianco iridato della madreperla a quello luminoso e compatto della ceramica, per arrivare ai sottili filati bianchi di lino e di cotone di delicati merletti.

L’allestimento, raffinato e minimale, basato sui toni sobri del bruno e del grigio, ha evidenziato al massimo il delicato ‘non colore’ dei manufatti, disposti in base ai materiali. Si tratta in gran parte di oggetti d’uso, sia sacro che profano, di varia datazione e provenienza. Gli oggetti rivestiti in madreperla sono calamai di produzione centro-italiana ottocentesca e manufatti ascrivibili all’artigianato francescano di Terra Santa tra i quali un modellino della Basilica del Santo Sepolcro, uno dei più tipici esempi di questa particolare produzione e soggetto particolarmente caro ai Francescani che avevano riedificato la chiesa nel 1555, e un originale fronte di tabernacolo eucaristico. Tra i manufatti in avorio e osso, sono presentati un ventaglio e un necessaire per cucire (spolette per il filo, contenitori e puntaspilli), entrambi forse prodotti in Francia all’inizio dell’Ottocento, quando la produzione artistica locale declina verso manufatti di artigianato semi-seriale, un arcolaio in avorio e osso simile ad analoghi manufatti conservati in musei nord-americani dedicati all’artigianato delle regioni artiche, ma forse riconducibile in ambito mediterraneo per la presenza di piccoli decori in corallo, e tre astucci di forma oblunga, probabilmente agorai, dalla stilizzata tipologia decorativa assimilabile a quella delle piccole sculture in avorio prodotte nelle colonie indo-portoghesi.

Alle pareti sono state allineate mensole per le delicate ceramiche bianche sette e ottocentesche (piccoli gruppi plastici e vasellame da tavola) prodotte prevalentemente dalle manifatture locali. I merletti, infine, recentemente sottoposti ad un accurato intervento di manutenzione, documentano l’evoluzione di questa arte delicata, frutto del lavoro di abili mani femminili: i numerosi esemplari esposti vanno dai pregevoli esempi di merletto ad ago seicenteschi, di prodizione veneziana, ai pizzi sei, sette e ottocenteschi, lavorati a fuselli e realizzati nelle Fiandre, a Milano, a Genova, in Abruzzo, nelle Marche. 

La successione delle vetrine è stata intervallata da alcuni busti neoclassici, scolpiti in candido marmo, e da alcuni dipinti con personaggi dalle vesti impreziosite da ampi colli e polsini di merletto che ripropongono le trine esposte.  

La mostra è stata curata da Alessandro Marchi della Soprintendenza BSAE delle Marche-Urbino e da chi scrive, con la collaborazione di Francesca Banini e Erika Terenzi dei Musei Civici pesaresi.

 

Benedetta Montevecchi


30 luglio 2014

Mostra Lacrime di smalto. Plastiche maiolicate tra Marche e Romagna nell’età del Rinascimento.

Senigallia, Rocca Roveresca, 12 aprile – 31 agosto

Presso la Rocca roveresca di Senigallia è allestita una raffinata mostra dedicata alla plastica maiolicata rinascimentale, tra Marche e Romagna. E’ questa una particolare produzione artistica sospesa tra la vera e propria scultura, nella quale si fanno generalmente rientrare i manufatti dei Della Robbia e della loro cerchia, e la ceramica, classificabile come ‘arte applicata’. Le opere vennero realizzate tra la fine del ‘400 e l’inizio del secolo successivo in un’area che comprende le Marche e l’Emilia-Romagna, mentre tuttora si dibatte se il principale centro di produzione sia stato Faenza o Pesaro. Ancorché si conoscano plastiche maiolicate di soggetto profano, sono più frequenti e noti i soggetti sacri – che costituiscono, peraltro, il tema della mostra – il cui esempio più spettacolare è un grande Compianto datato 1487 e proveniente da una collezione faentina (oggi a New York, Metropolitan Museum), che presenta un evidente collegamento con la scultura monumentale in terracotta emiliana e segnatamente con il Compianto di Guido Mazzoni (1483-1485) della Chiesa del Gesù a Ferrara. Un riferimento significativo che evidenzia il preciso legame tra queste piccole sculture maiolicate devozionali e la produzione monumentale contemporanea.

Senigallia, sbocco al mare del ducato di Urbino e dove, secondo una cronaca del 1522, esisteva una “madona bella tuta invetriata”, è stata scelta quale sede della mostra perché in posizione baricentrica tra la Romagna, che ha in Faenza il maggior centro ceramico già nel Trecento, e il territorio marchigiano dove è attestata la presenza di plastiche maiolicate non solo nell’area centro-settentrionale, ma anche a sud, nella città di Fermo dove statuine, purtroppo oggi molto danneggiate, ornavano la facciata dell’Oratorio di Santa Monica già intorno al 1425.

Il sicuro interesse dei Signori di Urbino per questa arte singolare è attestato dallo stemma Montefeltro che appare nella formella col Compianto sul Cristo morto che, assieme al suo pendant con la Natività, si trovava nella chiesa del SS.mo Crocifisso di Ostra Vetere (oggi

nel locale Museo Civico Parrocchiale). Il legame con la corte feltresca contribuisce a circoscrivere l’ambito culturale e territoriale in cui doveva operare la bottega di produzione. Alla stessa conclusione può condurre una bella Madonna col Bambino, altra rara testimonianza di plastica maiolicata tardo-quattrocentesca ancora in situ, ovvero nella Congregazione di Carità di Pesaro (oggi nei locali Musei Civici), anche se l’autografia dell’opera oscilla tuttora tra l’ambito pesarese e quello faentino, soprattutto per determinate caratteristiche decorative. E sarà poi da notare come una Madonna pressoché identica, oggi nel Museum of Fine Arts di Boston, datata 1551, attesti la fortuna di un modello devozionale replicato per decenni. Va poi sottolineata l’influenza della plastica fiammingheggiante, diffusa da artisti nordici itineranti, che si concretizza non solo in alcune Pietà maiolicate che propongono l’immagine dell’Addolorata col Cristo morto sulle ginocchia di evidente derivazione oltremontana, ma anche nell’ insistita accentuazione espressionistica nei volti dei piccoli personaggi. I gruppi plastici sono rappresentati da pezzi di grande suggestione sia nel caso delle scene in miniatura, come l’Incontro tra i santi Paolo Eremita e Antonio Abate, caratterizzato da un vivace gusto narrativo, o l’originale calamaio accostato ad un piccolo presepio (entrambi Cento, collezione privata), sia in opere di grande formato, come la grande Madonna adorante il Bambino (Pesaro, Musei Civici), parte di una più ampia composizione forse comprendente anche san Giuseppe, il bue e l’asino, dove la frammentarietà del pezzo consente di intuire la tecnica esecutiva e l’assemblaggio delle singole componenti.  

Nonostante il contenuto numero dei pezzi esposti (13), la mostra è di grande suggestione per la qualità dei manufatti, alcuni mirabilmente restaurati, come l’importante Compianto del Duomo di Ancona (oggi nel locale Museo Diocesano), e per lo straordinario fascino delle ingenue composizioni, caratterizzate prevalentemente da un suggestivo arcaismo, impreziosite dagli smalti brillanti e dalle vivacissime cromie.

La mostra è stata curata da Claudio Paolinelli così come il pregevole catalogo corredato da bellissime fotografie dove, assieme a interessanti saggi che approfondiscono, anche sotto l’aspetto tecnico, questi inconsueti materiali, sono illustrate le opere esposte nonché una serie di manufatti non esposti che costituiscono utili confronti e contribuiscono a meglio definire l’esiguo corpus di plastiche maiolicate giunte fino ad oggi e conservate in vari musei, soprattutto stranieri.

Quale appendice di questo evento, nel Palazzo Mastai, sempre a Senigallia, dal 14 giugno al 2 novembre, è possibile ammirare un’altra importante testimonianza di arte ceramica quattrocentesca, una piccola, preziosa mattonella, datata 1492, raffigurante la Madonna col Bambino. Si tratta di un raro esemplare di targa devozionale, accostabile a pochi altri esempi noti, sempre di iconografia mariana, verosimilmente riconducibili ad officine pesaresi e comunque certamente di ambiente umbro-marchigiano per l’evidente consonanza tipologica e stilistica con opere pittoriche coeve. Fare clic qui per scaricare la locandina.
Qui di seguito alcune delle opere esposte.

Compianto

Anonimo plasticatore, Marche o Romagna (Faenza?)

Fine del XV secolo / inizio del XVI secolo

Maiolica, h. 72,5 cm x 68,5 cm

Ancona, Museo Diocesano ‘Cesare Recanatini’ (già Duomo di San Ciriaco)

Compianto

Anonimo plasticatore, Marche

Fine del XV secolo / inizio del XVI secolo (entro il 1508)

Maiolica, h 69 cm x 60 cm

Ostra Vetere, Museo Civico Parrocchiale (già chiesa del Santissimo Crocifisso)

Natività

Anonimo plasticatore, Romagna (Faenza) o Marche

Fine del XV secolo / inizio del XVI secolo

Maiolica, h 55 cm x 39 cm

Londra, collezione privata


8 luglio 2014

Il ritorno a Montalto del Reliquiario di Sisto V restaurato

I Musei Sistini del Piceno sono una rete di piccoli musei di arte sacra della Diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto (AP), dedicata a papa Sisto V. Originario di questa terra, nel corso del suo breve ma intenso pontificato (1585-1590), il pontefice mostrò un forte attaccamento alla «patria carissima» con doni prestigiosi tra i quali il noto reliquiario, che da lui prende il nome, custodito nel Museo di Montalto.

   Si tratta di uno dei massimi capolavori di oreficeria sacra le cui vicissitudini storiche e i passaggi di proprietà ne hanno determinato le complesse variazioni morfologiche e stilistiche che, nel tempo, lo hanno condotto allo stato attuale. Creato in Francia presso la corte di Carlo V intorno al 1377, passò al figlio Carlo VI, poi al duca del Tirolo Federico IV, quindi venne acquistato da Lionello d’Este (1450), mentre dal 1457 era tra i beni del cardinale Pietro Barbo, poi papa Paolo II. Fu quest’ultimo che trasformò radicalmente l’iniziale, preziosissima oreficeria tardo-gotica, ricca di smalti e gemme, facendola inserire nella elegante struttura classicheggiante, nella quale è tuttora conservata, ad opera di un artefice veneziano. Poco più di un secolo dopo, Sisto V scelse il reliquiario quale dono per la città di Montalto, non prima di averlo affidato all’orefice romano Diomede Vanni per inserire il proprio stemma e le iscrizioni che ricordavano l’evento.

   Gelosamente conservato per secoli presso la Cattedrale di Montalto, il reliquiario è stato esposto per la prima volta al pubblico nel 1992 in occasione della mostra Le arti nelle Marche al tempo di Sisto V, dopo essere stato restaurato presso l’istituto Centrale per il Restauro di Roma (1987-1989). Nel 1998 l’opera veniva collocata nella Pinacoteca Civica di Montalto e nel 2002 era trasferita nella nuova sede del Museo Sistino. Inoltre, tra il 2003 e il 2008, il reliquiario veniva presentato in importanti mostre, cosa che ha permesso ad un vasto pubblico di conoscere un manufatto di straordinaria rilevanza artistica, ma forse non ha giovato alla sua migliore conservazione. Anche la collocazione museale, peraltro, ancorché scrupolosamente allestita, forse non aveva raggiunto le condizioni ottimali per un’opera tanto complessa e delicatissima. Sulla superficie di argento dorato del reliquiario, infatti, venivano notate tracce dapprima impercettibili, poi sempre più evidenti, di composti salini di alterazione. Pertanto, nel 2013, il reliquiario è stato affidato per un nuovo restauro all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze – i cui tecnici da tempo collaborano con la direzione dei Musei Sistini del Piceno per monitorare lo stato di conservazione delle opere – e contemporaneamente sono stati adeguati la vetrina e la sala del Museo per garantire la migliore conservazione del manufatto.

   Dopo una presentazione a Firenze, il 12 dicembre 2013, il reliquiario è tornato a Montalto 26 maggio 2014. Il 7 giugno, nel corso di una festosa cerimonia, la direttrice dei Musei Sistini Paola Di Girolami, la direttrice del restauro Clarice Innocenti col restauratore Paolo Belluzzo, e la Soprintendente per i Beni Storici Artistici e Etnoantropologici delle Marche Maria Rosaria Valazzi, hanno presentato gli esiti dell’intervento e il rinnovato allestimento. Nell’occasione, è stato realizzato anche un prezioso volumetto, Oro, Zaffiri e Rubini. Il Reliquiario di Montalto dopo il restauro dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze (a cura di P.Di Girolami, Nardini Editore, Firenze 2014), nel quale sono contenuti, tra l’altro, una scheda storica di Anna Rosa Calderoni Masetti e una importante e dettagliata relazione sul restauro dell’opera.

   Si segnala l’orario estivo del Museo Sistino di Montalto: 1 luglio – 7 settembre, h 16-19.