di Ivana Bruno
Case Museo
Milano, Museo Bagatti Valsecchi
Il ritorno del Rinascimento in una casa signorile lombarda
“ …nella casa Bagatti Valsecchi non si è voluto fare un museo o una collezione, ma bensì la ricostruzione di un’abitazione signorile della metà circa del Cinquecento, donde il trovarvisi oggetti del XV e XVI secolo dei generi più svariati: quadri, arazzi, tappeti, mobili, armi, ceramiche, bronzi, vetri, gioielli, ferri, utensili domestici di ogni qualità raccolti con studio accurato e restituiti al loro uso originario”. Così, nel suo diario, Giuseppe Bagatti Valsecchi (1845-1934) esprimeva l’intento, condiviso con il fratello Fausto (1843-1914), di trasformare il palazzo di famiglia nella copia di una dimora rinascimentale, mantenendolo però funzionale alle esigenze abitative (Milano, Archivio Bagatti Valsecchi, nota autografa di G. Bagatti Valsecchi, in Pavoni 1994, p. 122).
L’edificio, situato al centro della città, in posizione privilegiata con doppio affaccio su via del Gesù e via Santo Spirito, è il risultato di una serie d’interventi di ampliamento e restauro che, iniziati nella prima metà dell’Ottocento, portarono ad una prima sua configurazione in stile barocco nel 1878-1880 e culminarono nel progetto dei due fratelli, realizzato nel 1881-1883. Tale progetto era il frutto di un vero e proprio disegno collezionistico e abitativo, espressione della tendenza culturale dell’epoca, diffusa non solo in Italia ma anche all’estero (si pensi alle case-museo di Isabella Stewart Gardner a Boston, di Paul Getty a Malibu, di Henry E. Huntington a San Marino, in California), che ricercava nelle forme del passato le fonti di ispirazione per il linguaggio artistico da adottare nell’architettura e nell’arredamento. Lo stile a cui i Bagatti Valsecchi si rifecero era il Rinascimento lombardo dell’età di Ludovico il Moro, considerato uno dei periodi più fecondi sul piano culturale e tale da dare una legittimazione storica al ruolo di guida sul fronte economico che la città milanese assunse nella nuova nazione italiana.
Di questo programma architettonico ed espositivo i fratelli studiarono ogni dettaglio e, mettendo da parte la loro laurea in legge, si rivelarono ottimi architetti, fondando un modello per le abitazioni dell’alta borghesia cittadina. Analizzarono i palazzi del Rinascimento italiano, riempiendo album di rilievi dal vero di dettagli architettonici, con il proposito non di rifarsi ad un archetipo preciso, ma di utilizzare spunti diversi, riprendendo e rivisitando gli esempi più significativi. Così la grotta di Isabella d’Este a Mantova fu riproposta nel soffitto del vestibolo dell’appartamento di Fausto e le decorazioni della sala degli angeli e della sala della Jole del palazzo ducale di Urbino furono riprese rispettivamente nelle cornici delle porte della sala Bevilacqua e in quelle della camera da letto di Fausto. Per realizzare il loro progetto raccolsero frammenti architettonici, architravi, camini, fregi parietali e altri elementi decorativi autentici che, integrati o manipolati in base all’effetto da ottenere, utilizzarono nell’arredo degli ambienti. Allo stesso scopo collezionarono dipinti e sculture del Quattrocento e Cinquecento (tra i quali la Santa Giustina de’ Borromei di Giovanni Bellini), nonché suppellettili, cassoni dipinti e mobili d’epoca.
La volontà di riprodurre l’ambientazione di una casa del Rinascimento lombardo giustificava anche l’utilizzo di copie, che non erano oggetti falsi spacciati per autentici, ma necessarie integrazioni dell’allestimento originale, per ricreare lo spirito e l’atmosfera del passato, così come a quel tempo si vedeva anche nelle sale del Museée de Cluny e del Musée des arts décoratifs di Parigi o del South Kensington di Londra. Per questo motivo molti mobili furono commissionati ad abili artigiani lombardi in grado di rievocare, in forme moderne, lo stile e la manualità degli artisti rinascimentali. Non mancavano inoltre elementi di arredo che rispecchiavano la volontà dei proprietari di non rinunciare alle comodità moderne (dal pianoforte alla vasca da bagno con acqua corrente fredda e calda), ‘mascherati’ tuttavia con decorazioni rinascimentali. Una funzione importante ricoprivano i tessuti da parati (oggi in parte perduti e sostituiti con una pittura che ne suggerisce l’effetto), fatti realizzare in fabbriche lombarde su modelli quattrocenteschi liberamente interpretati. È il caso del salone, caratterizzato da una tappezzeria di velluto in rilievo a fondo oro, che riporta entro il classico disegno quattrocentesco dell’ovale a doppia punta l’abbreviazione BA VA con l’aquila e i gigli araldici di famiglia. Un rivestimento particolare si trova nella sala da pranzo, dove sono stati usati arazzi fiamminghi del XVI secolo tagliati, integrati e ricomposti con tele dipinte a loro imitazione.
L’edificio è rimasto di proprietà della famiglia fino al 1974, quando fu acquistato dalla regione Lombardia e, con la costituzione dell’omonima fondazione, aperto al pubblico come museo. L’allestimento attuale ha mantenuto l’aspetto voluto dai fondatori, documentato da foto della fine dell’Ottocento. Anche le luci soffuse provenienti dai lampadari originari, la discrezione dei sistemi informativi, il camuffamento degli impianti di sicurezza e di climatizzazione contribuiscono a restituire il carattere peculiare di questa collezione.
Bibliografia
I. Bruno, Museo Bagatti Valsecchi, Milano, in M.C.Mazzi, In viaggio con le muse, Edifir, Firenze, 2005, pp. 226-227.
R. Pavoni (a cura di), La Casa Bagatti Valsecchi. L’Ottocento, il Rinascimento, il Gusto dell’Abitare, Scala, Firenze 1994.
R. Pavoni (a cura di), Il Museo Bagatti Valsecchi a Milano, Scala, Firenze 1994.
Museo Bagatti Valsecchi, direzione scientifica di R. Pavoni, I, Electa, Milano 2004.