di Maria Concetta Di Natale
Saggio tratto dal volume Vanity, Profanity & Worship: Jewellery from the Maltese Islands, catalogo della Mostra, Malta 2013, pp. 15-28, nella versione aggiornata della conferenza, corredata dal relativo apparato fotografico, tenuta il 3 maggio 2013 al Casino Maltese di Valletta, nell’ambito delle attività (Lectures and workshops) organizzate in occasione della mostra Vanity, Profanity & Worship. Jewellery from the Maltese Islands (Valletta, 31 marzo-26 maggio 2013). Si ringraziano per la gentile concessione Michael Lowell, CEO della Fondazzjoni Patrimonju Malti e Francesca Balzan, curatrice della mostra.
Fare clic qui per accedere alla galleria delle immagini.
La capillare penetrazione del Sovrano Militare Ordine dei Cavalieri di Malta nell’area mediterranea attraverso i secoli ha lasciato un profondo segno che è ancora oggi rilevabile anche attraverso le insegne, l’emblema-gioiello, elemento distintivo per eccellenza: la caratteristica croce dalle otto punte smaltata di bianco. A questo proposito, è estremamente interessante ricordare come la prima insegna dell’ordine gerosolimitano in Sicilia, “una croce piana e semplice” antecedente a quella che poi, nel corso dei secoli, sarebbe divenuta la più nota “croce di Malta”, sia presente in un calice d’argento dorato, con parti incise, sbalzate, traforate e a rilievo, di derivazione barcellonese ma di fattura palermitana della Chiesa Madre di Polizzi[1] (Fig. 1). Nell’opera compare, infatti, lo stemma della famiglia catalana Puxades, che si riferisce a Fra Luca de Puxades, “miles Roddianus […] Praeceptor et comendator comenda Sancti Johannis yerosolimitani Terrae Politii”. Databile tra il 1503 e il 1511[2], il calice reca una base polilobata e un rigoglioso cespuglio di carnose foglie di cardo nel nodo e sotto la coppa, e appartiene alla categoria definita “madonita” da Maria Accascina[3] data la presenza di diversi esemplari con tali caratteristiche in quell’area della Sicilia.
I cavalieri di Malta furono munifici di doni attraverso i secoli nei confronti dei più venerati simulacri mariani della Sicilia, centro delle rotte mediterranee e pertanto fulcro di scambi culturali. Ne fornisce un esempio la Madonna del Vessillo della Cattedrale di Piazza Armerina, la cui manta ornata da smalti policromi e gemme, rara e raffinata opera del 1632 di Don Camillo Barbavara, uno dei più abili orafi siciliani del periodo barocco, era tutta ricoperta di preziosi monili donati come ex voto, tra cui non mancavano croci dell’ordine dei Cavalieri di Malta, gioielli tutti andati perduti, come pure la manta stessa, di cui rimane solo una fotografia a testimonianza[4] (Fig. 2).
Croci smaltate di bianco dell’ordine sono ancora oggi appese tra i monili ex voto che ricoprono il reliquiario a busto di Sant’Agata della Cattedrale di Catania, opera dell’orafo senese Giovanni di Bartolo del 1376[5] (Fig. 3). Nell’inventario del tesoro di Sant’Agata del 1684 tra l’altro è elencata: ‘una croce di Malta d’oro con una corniola in mezzo, opera di filo di peso di mezz’onza e sei trappesi, presentata alla Santa dal Reverendo Fra Cappellano Don Diego Pappalardo della terra della Pedara’[6]. Di Don Diego Pappalardo, cappellano conventuale, si conserva un ritratto a figura intera con abito in cui campeggia una grande croce dell’ordine e con paggio, secondo una tipologia diffusa tra i cavalieri dal Seicento, opera della fine del XVII- inizio del XVIII secolo della Basilica di Santa Caterina di Pedara (Catania)[7] (Fig. 4). In un più recente inventario dello stesso tesoro di Sant’Agata di Catania, del 1829, vengono citate ‘una crocetta di Malta di trentatre brillanti di peso tre trappesi’ e ‘una croce di Malta di oro a medaglia a filograno di peso trappesi ventuno’[8] (Fig. 5).
Tra i simulacri più ricchi di insegne dell’ordine di Malta in Sicilia fu quello della Madonna di Trapani, la venerata statua marmorea di Nino Pisano della Chiesa dell’Annunziata dei Padri Carmelitani[9]. Particolarmente significativo è in proposito quanto scrive Vincenzo Nobile nel suo Tesoro nascoso… nel 1698: ‘vi sono a Trapani più cavalieri gerosolimitani che in tutto il Regno’ e, non a caso, Felice Costanzo, che stampa il volume, lo dedica al ‘Preclarissimo Signore e Padrone (…) D. Vincenzo Fardella e Bono e Sieripepoli, Secreto della città di Trapani’, facendo le lodi della famiglia Fardella i cui componenti sono ‘freggiati da croci cavalleresche, gerosolimitane’[10]. Nell’inventario dei monili offerti alla Madonna di Trapani del 1630 è elencata ‘una crocetta d’oro di Malta portata dal nipote del Gran Maestro ovata smaltata’, in quello del 1648 sono annotati: ‘una corona di corallo data dal quondam Don Giovanni Fardella, Barone della Moharta (…) e per segno vi pende una croce di Malta ovata con suo anello fatta d’oro data dal quondam fra Modesto suo fratello’ e ancora ‘una gioia alla spagnola con dieci rubini e cinque perli e per contrassegno vi pende una crocetta di Malta picciola’[11]. Quest’ultima opera è da identificare con il monile oggi esposto al Museo Regionale Pepoli di Trapani caratterizzato da tre catenelle e diverse perle pendenti, secondo la caratteristica tipologia seicentesca di ispirazione iberica, ma di fattura siciliana[12] (Fig. 6). Nell’inventario del 1660 si rilevano ancora: ‘una crocetta d’oro di Malta portata da un cavaliere spagnolo’, ‘una croce d’oro di Malta tutta smaltata data dal Signor Generale della Galera del Papa con anello doppio d’oro’ e ‘una croce di Malta d’oro venuta dell’elemosina dell’isola di Lampedusa, da una parte smaltata di bianco con croce’[13]. Per quanto riguarda quest’ultima opera, verosimilmente potrebbe essere stata donata da Don Giulio Tomasi di Lampedusa, secondo Duca di Palma e Barone di Montechiaro dal 1640, primo Principe di Lampedusa nel 1667, cavaliere dell’Ordine di San Giacomo della Spada e fondatore del monastero benedettino del Rosario di Palma di Montechiaro[14].
Tra i donatori alla Madonna di Trapani è anche Nicolas Cotoner (1608-1680), Gran Maestro del Sovrano Ordine dal 1663 al 1680, che, come ex voto per l’ottenuta protezione contro la peste, lasciava tra l’altro il suo ritratto ove campeggia l’abito con la croce dei Cavalieri di Malta[15] (Fig. 7). Nell’inventario del 1715 è ricordata la croce donata da Don Nicolò Galletti, Marchese di San Cataldo[16]. Nell’inventario del 1730, poi, la parte dedicata all’elencazione degli emblemi degli ordini cavallereschi comprende per la maggior parte quelli dei Cavalieri di Malta tra cui ‘una croce di Malta di cristallo con tre bottoni d’oro smaltati (…) data da Don Taddeo Sieripepoli’ e ‘una croce di Malta con quattro giglietti’, da identificare con quella oggi esposta al Museo Pepoli[17] (Fig. 8), dove sono confluiti quasi tutti i monili superstiti del Tesoro della Madonna di Trapani, tra i quali si ricorda anche l’altra croce in oro, smalto e diamanti[18] (Fig. 9). Nell’inventario del 1737 un’intera parte è dedicata alle ‘croci di Malta d’oro’, dove in un lungo elenco emergono talune importanti figure di donatori e alcune originali tipologie di quell’emblema-gioiello[19]. Si ricorda: ‘una croce di Malta d’oro quadra con suo anelletto, e catena d’oro all’indiana di peso once quattro e trappesi uno data da Don Alberto Fardella per mettersi sopra la statua di Sant’Alberto’[20]. Anche quest’ultimo simulacro d’argento era oggetto di devozione nel convento trapanese dei Carmelitani. La nobile e importante famiglia Fardella, non a caso già più volte ricordata, è una delle più munifiche di doni di monili nei confronti del venerato simulacro della Madonna di Trapani e del Santuario in genere. Particolare tipologia doveva caratterizzare la ‘croce di Malta fatta a Cuore con il fischietto di peso trappesi vent’uno; data dal figlio del Signor Barone della Moharta’, l’altra analoga ‘Crocetta di Malta fatta a cuore con il fischietto di peso trappesi dieciotto data dal Signor Ricevitore di Scichili’, e ancora ‘un’altra Crocetta di Malta fatta a Cuore con il fischietto senza anello, di peso trappesi dieciotto venuta da Malta’[21], segno della grande devozione nei confronti della Madonna di Trapani, che andava ben oltre i confini della Sicilia, e della circolazione e diffusione di tali opere nell’area mediterranea. Tale tipologia può forse essere esemplificata dal sonaglio d’argento a forma di leone con fischietto, croce di Malta e campanella del Museo Nacional de Artes Decorativas di Madrid (inv. CE00247) realizzato tra il 1667 e il 1700 in Andalucia. Si citano ancora nello stesso inventario della Madonna di Trapani, tra le altre, ‘una croce di Malta di peso trappesi tredici e mezzo portata da un Cavaliere Spagnolo’, ‘una croce di Malta di Cristallo con tre bottoni d’oro smaltati di nero, di peso trappesi venti di netto, data da Don Taddeo Sieripepoli’ e ‘una croce di Malta sopra una pietra venturina, di peso trappesi dieci novi e mezzo, data da Don Alberto Fardella’[22], altri due particolari monili per composizione e materiali. Un’altra croce di Malta dello stesso Tesoro, oggi esposta al Museo Pepoli, è quella in filigrana d’oro[23] (Fig. 10) che doveva essere simile a quella citata nel ricordato inventario del tesoro di Sant’Agata di Catania. Dovevano circolare in Sicilia, viceregno spagnolo dal 1412, nel XVI e XVII secolo non solo le opere donate da devoti spagnoli, come si rileva anche dagli inventari, che diventavano modello d’ispirazione per gli orafi siciliani, ma anche disegni relativi a monili da quelli realizzati. Non è casuale peraltro che gli orafi spagnoli, come prova d’esame per diventare maestro, dovessero prima fare un disegno del gioiello da realizzare, e così si conserva una preziosa raccolta di disegni dei Passanties nell’Instituto Municipal de Historia de la Ciudad di Barcellona, tra cui diversi sono quelli che presentano l’insegna del Sovrano Ordine di Malta. Tra questi si ricordano quello di Francesc Torres del 19 giugno del 1543 (f. 1292), che inserisce la caratteristica Croce bianca entro un monile ovoidale, come le diverse cornici dell’epoca che contenevano l’Agnus Dei, l’altro di Rafael Vinas Vuija del 12 giugno 1602 (f. 3542), quello di Francesc Coves del 9 settembre 1604, che inserisce il monile con la Croce al centro entro una grande cornice arabescata, l’altro di Francesc Leuch del 20 aprile 1605 e ancora quelli di Pan Avalla del 1615[24] e di Ramon Daura del 1641 (f. 502)[25] (Fig. 11).
Diverse sono le Croci di Malta che sono individuabili nell’incisione anteriore al 1866 in cui compare la Madonna di Trapani ancora adorna di tutti i suoi monili donati nei secoli da sovrani, nobili e alti prelati e dopo quella fatidica data smembrati, in gran parte dispersi e solo in parte oggi esposti al Museo Regionale Pepoli[26] (Fig. 12).
Tra i gioielli offerti come ex voto alla Madonna della Lettera di Messina erano diverse croci di Malta poste sulla manta della Vergine, preziosa opera dell’orafo fiorentino Innocenzo Mangani del 1668, ornata con monili dall’orafo messinese Giovan Gregorio Juvarra[27] (Fig. 13). Un inventario del 1740 riporta ‘un filetto di catina a maglia di Milano con la sua croce di Malta’, ‘una croce di Malta d’oro’ e ‘il mondo di lapislazzaro che Nostro Signore tiene in mano, dove vi sono sette granate e una torchina di Francia e sopra detto mondo vi è una croce di Malta con diamante di fondo in mezzo’[28]. In una riproduzione fotografica edita nel 1923 in un articolo di Enrico Mauceri[29] erano visibili quattro croci di Malta in oro con smalto bianco e brillanti[30]; oggi solo una di smalto bianco del XVII secolo è applicata alla manta della Madonna della Lettera[31] (Fig. 14), donata da Giovanni del Pozzo[32], di cui scrive l’Argananzio: ‘Non cedette agli altri nel tenero amore verso la Madre Vergine Giovanni Cavaliero gerosolimitano di devozione e Prencipe del Parco, che presentò tredici catenette d’oro, onde pende una croce di Malta parimente d’oro, e nel mezzo dell’una e l’altra faccia vi scintillano due diamanti grossi fuor di misura’[33]. Solo due croci sono conservate nel Tesoro, una affine a quella del ritratto di Mons. Maria Antonio Trigona Grimaldi (Fig. 15), Arcivescovo di Messina nel 1817, in oro e smalto sormontata da corona (Fig. 16) e l’altra composta da parti non pertinenti, tra cui compare un Bambinello in avorio, e ornata da smalto e brillanti[34] (Fig. 17). È da ricordare ad ulteriore esempio della circolazione di opere di oreficeria nell’area mediterranea, che da Messina veniva inviata alla Madonna della Filermosa di Malta nel 1682, una ‘croce di filograno d’oro smaltata, e fattura di Messina’[35].
Si ricordano, inoltre, un’altra croce in oro e smalto bianco di collezione privata messinese, databile tra il XVIII e il XIX secolo, con la sua custodia originale in pelle[36] (Fig. 18), un pendente di rosario che reca sul verso, al centro, incisa la croce dei Cavalieri di Malta, opera di orafo verosimilmente siciliano o maltese della fine del XVII secolo di collezione privata di Mirto (Messina) (Fig. 19) e una croce di Malta in filigrana d’argento con corona, pendente da un rosario in filigrana e granati, di manifattura siciliana o maltese della fine del XVII secolo della chiesa di Montalto (Messina)[37] (Fig. 20). Si segnala, pure, un’altra croce dell’ordine applicata come ornamento all’ostensorio tardo settecentesco già della Confraternita di Santa Rosalia e Santa Barbara di Messina e, infine, quella in oro legata ad una catena dell’Ottocento insieme al Toson d’oro, della chiesa di Maria SS. Assunta di Castell’Umberto (Messina) (Fig. 21)[38].
Tra le immagini sacre ornate di monili nel tempo si ricordano anche la tavola del XV secolo della chiesa dei Cappuccini di Paternò, proveniente dalla chiesa della Madonna delle Grazie, che presenta apposte come ex voto alcune croci di Malta[39], e la tela del XVIII secolo della Madonna della Misericordia della chiesa di Maria SS. del Rosario di Milazzo (Messina), la cui iconografia rimanda alla Nuestra Senora de los Desamparados di Valencia (Fig. 22), recante tra i diversi monili come ornamento, sopra un veliero, anche una croce di Malta[40]. Analoga iconografia ritorna nella versione della Madonna della Misericordia della prima metà del XIX secolo della chiesa di San Nicolò di Bari di Gioiosa Marea (Messina) (Figg. 23-24)[41].
La statua lignea di Santa Rosalia dell’omonima chiesa di Montelepre (Palermo) reca come ornamento una croce di Malta d’argento che presenta i tre marchi della maestranza degli argentieri e orafi di Palermo: l’aquila a volo alto con la sigla RUP (Regia Urbs Panormi), il punzone del console DSC90 e le iniziali GG dell’argentiere. Il console nel 1790-1791 era Simone Chiapparo[42], mentre l’argentiere potrebbe identificarsi con Gioacchino Garraffa, la cui attività è documentata dal 1762 al 1810[43]. L’opera dovette essere donata al simulacro della Santa vergine patrona di Palermo dalla nobile famiglia Galluzzo di Montelepre[44].
Nel perduto tesoro del Santuario di Santa Rosalia del Monte Pellegrino di Palermo dovevano essere diverse croci donate dai Cavalieri di Malta. Un inventario del 1769 ricorda, infatti, ‘una croce grande di Malta fatta di smalto con zaffiro bianco e con un pendente d’ametista e tre diamanti’ e ‘una corona di pietra d’agata con una crocetta di Malta ingastata d’oro’[45]. Un altro inventario del 1812 annota ‘una gioia d’oro divisa in tre parti con diamanti e smeraldi, stellucce di oro e crocette di Malta di smalto con pietre preziose’[46].
Tra i monili offerti al reliquiario a statua di Santa Lucia della Cattedrale di Siracusa, opera del 1599 dell’abile argentiere palermitano Pietro Rizzo, artista di estrazione gaginiana, sono forti i segnali della devota presenza dei Cavalieri di Malta (Fig. 25)[47]. Dagli inventari del Tesoro si rileva, infatti, che nel 1861 Giovanni Maria Borgia del Casale donava la sua croce dell’Ordine dei Cavalieri di Malta con smalti bianchi e brillanti e che ‘nel 1850 un nobil’uomo della famiglia Arezzo offrì il suo anello con la croce dei Cavalieri di Malta’[48]. Orna ancora il simulacro una croce di Malta con brillanti e smalti bianchi[49] (Fig. 26), raffrontabile con l’altra ricordata del tesoro della Madonna della Lettera di Messina. Croci di questa tipologia sono riscontrabili tra i monili che ornano la manta d’argento dell’icona della Vergine di San Luca[50] (Fig. 27) oggi custodita nel Tesoro della Metropolitan Cathedral di Mdina, antica capitale dell’isola di Malta, esposta alla mostra “Vanity, Profanity & Worship: Jewellery from the Maltese Islands” curata da Francesca Balzan ospitata al Casino Maltese di Valletta (31 marzo-26 maggio 2013)[51]. La croce del tesoro di Siracusa, pendente da un trofeo di brillanti e ornata da corona, analogamente ingemmata, dovrebbe essere quella già ricordata, citata nell’inventario, donata al venerato simulacro di Santa Lucia da Fra’ Giovanni Borgia dei marchesi del Casale, Balì e Gran Priore delle due Sicilie del Sovrano Militare Ordine di Malta negli anni 1842-1858, maggiordomo di settimana di re Ferdinando II e cavaliere di compagnia del conte di Siracusa[52]. Un pendente con croce di Malta simile aveva donato alle monache benedettine di Modica donna Cristina Schininà dei marchesi di Sant’Elia, vedova del marchese Romualdo Mattia Lorefice Platamone, barone di Poggiodiamante, andata dispersa dopo la soppressione del 1860[53]. Similmente, l’anello citato nell’inventario dovrebbe essere quello che ancora oggi orna l’indice della mano destra del reliquiario a busto di Santa Lucia, donato da un membro dell’illustre famiglia Arezzo (Fig. 28).
Il raffinato pendente in smalto dipinto della Basilica Collegiata di San Sebastiano di Acireale è particolarmente significativo perché presenta da un lato la figura di San Giovannino e dall’altro la croce dell’ordine dei Cavalieri di Malta[54] (Figg. 29-30). È opera dell’abile smaltatore messinese Joseph Bruno, che poté anche avvalersi della collaborazione dei suoi aiuti[55]. Questi, figlio di orafo, fu allievo del Quagliata, tanto che il Susinno ricorda un suo dipinto, la tela raffigurante la Concezione di Maria Vergine in una cappella della Basilica dei Santi Apostoli Pietro e Paolo dei Padri Crociferi di Messina, e informa che poi ‘si diede all’arte del cesello a cui affacciasi la diligenza e la politezza, perfezionando i suoi lavori d’argento con il fiato. Infastiditosi di cesellare, perché portato da’ primi albori della sua vita alla pittura, attese perciò totalmente a colorire di smalto. Dal continuo addunque lavorare in smalto che sempre appresso praticò, venne ad acquistare una particolare perizia, perfezionata in lui dalla straordinaria pratica che egli avea conseguita in conoscere gli effetti che produce il fuoco in lavorando il colore e fare spiccare il chiaro e lo scuro sfumatissimo senza vederne le orme del pennello (…). Li suoi lavori paiono fatti in Francia, egli però non ebbe mai la sorte di vedere quel regno, che non negherebbe esser di alcuno de’ suoi alunni le opere del nostro Bruno, perfetto emulator de’ Francesi. Ebbe occasioni non poche di servir vari principi; da Messina spedì quantità di medaglie, orologi e capezzali per la Spagna ed altrove. Fu stimatissimo (…) Visse onoratissimo. Giunto poi ad anni settanta circa, finì il corso della sua vita nella sua patria, il suo cadavero fu accompagnato dagli orafi ed argentieri nella loro chiesa dei SS. Elena e Costantino per ivi collocarne le ceneri ai sette di settembre 1682’[56]. L’abile artista dovette conoscere repertori come i disegni per casse d’orologi raffiguranti scene bibliche o mitologiche di Jacques Vauquer (1621-1686)[57]. Joseph Bruno si distingue, tuttavia, per la raffinatezza dei suoi smalti dipinti caratterizzati da una bordura floreale, con immancabili tulipani, insieme a narcisi e garofani, dall’accesa policromia di gusto siciliano, che può, talora, considerarsi quasi equivalente alla sua firma, come nel caso del pendente di Acireale, o che, comunque, rimanda all’attività degli aiuti della bottega strettamente guidati dal maestro. Tale predilezione per gli ornativi floreali, tipica del periodo, era diffusa a Messina e rappresentata significativamente da artisti come Joseph Bruno già prima della metà del secolo, con rimandi ai testi per orafi del pittore di smalti Gilles Légaré (1610 c.-1680) e dall’orafo Francois Le Febres (1630 c.), entrambi attivi a Parigi[58]. Già nel 1644 Giorgio Fighera, in occasione della festa della Madonna della Lettera, nel lodare le opere esposte dagli argentieri, a proposito di Joseph Bruno scriveva: ‘illustre di nome e pur d’ingegno (…) à i Cavalieri li forma il regno per l’Habbiti che fa l’opra sublima, e come à tal si prezza il suo lavoro (…) vola la fama sua per ogni regno e mostra l’opra sua per ogni clima’[59].
Se la croce, insegna dell’Ordine dei Cavalieri di Malta ha costantemente le stesse caratteristiche e inevitabilmente stabile tipologia, che ne rendono non sempre chiaramente distinguibile la produzione nei diversi paesi d’Europa, essa si distingue talora perché ornata da gemme o talora perchè personalizzata pendendo da un fiocco o da una corona, ma diventa gioiello particolare, caratteristico e identificabile proprio negli smalti dipinti di Joseph Bruno.
Tra i diversi pendenti dell’artista sparsi in Musei e collezioni del mondo ricorre ancora la croce dell’ordine dei Cavalieri di Malta nella placca smaltata del Victoria and Albert Museum di Londra raffigurante nel recto la Sacra Famiglia con l’emblematica figura di San Giovannino, patrono del sovrano ordine, e nel verso la croce, ricondotta all’inconfondibile ‘style of Gioseph Bruno of Messina’ da Shirley Bary[60], dopo un non casuale riferimento alla Francia da parte di Evans[61] (Fig. 31). L’artista messinese dovette ispirarsi per la composizione della Sacra Famiglia al manierismo romano, ad opere come la Madonna della Gatta (1577) di Federico Barocci, oggi alla Galleria degli Uffizi di Firenze (Fig. 32), circolante attraverso incisioni come quelle di Cornelio Crot[62]. Non è casuale che le due figure di San Giovannino di entrambi i pendenti di Acireale e Londra siano molto somiglianti. Analoga è anche la decorazione del recto dall’articolata cornice polilobata, ornata da fiori policromi diversi, che si alternano nel verso del pendente di Acireale a scene paesaggistiche. L’opera è esposta alla William and Judith Bollinger Jewllery Gallery (sala 91, vetrina 10, ripiano A, box 13) insieme ad altri pendenti di ordini cavallereschi e risulta acquistata nel 1871 presso i mess.rs Phillips[63]. È possibile pertanto ipotizzare che il medaglione facesse parte della raccolta personale degli orafi di 31 Cockpur Street, tenendo in considerazione, peraltro, che Phillips and Sons erano tra i realizzatori ufficiali delle insegne del Sovrano Ordine di Malta di Inghilterra, Canada e Nuova Zelanda negli anni 1867 e 1895[64]. A questo pendente del Victoria and Albert Museum è accostabile l’esemplare, pressoché identico, facente parte delle collezioni di Sua Maestà Elisabetta II del Regno Unito, citato nell’inventario dei gioielli a partire dal 1830[65] e ricondotto dalla attribuzione alla Spagna a quella siciliana da Kristin Aschengreen Piacenti e John Boardman[66] (Fig. 33).
Si ricorda ancora un altro pendente di Joseph Bruno, che è esposto al Museo Lazaro Galdiano di Madrid, in cui compaiono da un lato la Croce dei Cavalieri di Malta e dall’altro le due figure del Salvator Mundi e di San Giovannino, ancora una volta fanciulli, con l’usuale cornice floreale lobata[67] (Fig. 34-35). La croce dei cavalieri di Malta di quest’ultimo medaglione è stata raffrontata[68] con quella molto simile di un pendente della collezione Kugel di Parigi[69] (Fig. 36) che presenta alternati ai fiori piccoli scarabei, possibilmente allusivi al casato del committente[70], e rimanda per le figure alle ‘statuine raffiguranti i Ninos Jesù, eseguite in prevalenza da artisti spagnoli e ospitate in gran numero nel monastero madrileno di Las Descalsas Reales’[71], come quelle raffiguranti il Redentore Bambino che sono per ora esibite nella mostra “Mattia Preti. Faith and Humanity” curata da Sandro Debono e Giuseppe Valentino ospitata negli State Rooms del Palazzo di Valletta (3 maggio-7 luglio 2013)[72] (Figg. 37-38).
Maria Accascina ritiene ‘possibile che Joseph Bruno sia stato anche gioielliere e nota che la sua ‘pittura a smalto si svolge su una gamma di colori chiarissimi, con largo predominio dei bianchi in aderenza naturalistica nella rappresentazione dei paesaggi’[73].
Interessante è segnalare come un altro medaglione firmato Gioseppi Bruno della collezione Kugel di Parigi[74] presenti nel recto la croce dell’ordine di San Giacomo della Spada e all’interno la Sacra Famiglia con San Michele e San Giovannino e nel coperchio San Giacomo matamoros, iconografia privilegiata in Spagna, come se l’opera volesse celebrare contemporaneamente l’ordine cavalleresco di San Giacomo della Spada e l’altro dei Cavalieri di Malta, nella compresenza delle figure di San Giacomo e San Giovannino[75] (Figg. 39-40). Altra insegna originale che pare voler in qualche modo legare i due ordini cavallereschi è quella del Museo Lazaro Galdiano di Madrid, verosimilmente opera di orafo spagnolo del XVIII secolo, consistente in una conchiglia d’oro che rimanda a San Giacomo pellegrino su cui è posta la croce smaltata dell’Ordine dei cavalieri di Malta[76] (Fig. 41).
Altri due medaglioni con la croce dell’ordine dei Cavalieri di Malta di Joseph Bruno risultano segnalati come pendenti di Rosario, fotografati nell’Archivio Más di Barcellona nel 1921[77]. La circolazione dei disegni nel periodo è testimoniata anche dalla somiglianza dei medaglioni smaltati da Joseph Bruno con la Croce dei Cavalieri di Malta e articolate bordure floreale ad alcune opere spagnole, come ad esempio quelle del Codice dei Gioielli di Guadalupe del Real Monastero di Nuestra Senora de Guadalupe[78] (Fig. 42).
É stato rilevato come i forti legami tra i Cavalieri di Malta e Maiorca abbiano portato alla diffusione della Croce del Sovrano Ordine da specifico “Habito”, ossia insegna, a più generico monile indossato dalle nobildonne, tra cui si ricorda ad esempio quello del XVII secolo di collezione privata di Maiorca[79] (Fig. 43), caratterizzato nel recto da diamanti e nel verso dalla croce smaltata di bianco entro cui si inseriscono dei ricchi fiori che rimandando a quelli usualmente dipinti da Joseph Bruno e pertanto a produzione siciliana, sia pure affine a quella maiorchina, come era, peraltro, non casuale nella circolazione culturale dell’area mediterranea nel periodo della maggiore influenza spagnola[80]. Proprio quando la croce di Malta viene ornata da smalti dipinti, per lo più floreali, diviene, dunque, gioiello con specifica classificazione, possibilmente anche femminile, da riferire ad una particolare produzione artistica e modello di usuali scambi culturali.
Non a caso a proposito della croce di Malta con al centro elementi d’oro gigliati, realizzata tra il 1676 e il 1700, possibilmente in Spagna, del Museo Nacional de Artes Decorativas di Madrid nell’inventario (CE 20422) si ricorda come il monile dell’ordine di San Giovanni sia confondibile con quello dell’Ordine di Malta utilizzato nella gioielleria femminile di Maiorca come elemento ornamentale di prestigio con la sola croce o insieme alla corona. Nello stesso Museo si conserva un’altra Croce di Malta d’oro smaltata di bianco semplice (inv. CE 01533).
Diffusi sono i ritratti di nobildonne che recano sull’abito un grande emblema dell’ordine. Si ricordano quello di pittore siciliano della fine del XVIII secolo che ritrae Marianna Valguarnera e Branciforti (1730-1793) di Palazzo Ganci (Fig. 44), e il pastello su carta del pittore laziale Desiderio De Angelis della fine del XVIII secolo che raffigurerebbe la stessa nobildonna o, più verosimilmente, Marianna de’ Giovanni vedova di Giuseppe Alliata e Colonna, insignita con la croce di Gran Dama di onore e devozione dell’ordine dei Cavalieri di Malta, primo ceto, nel 1757, ‘per segnalate benemerenze a favore dell’ordine’[81], esposto in uno dei saloni del piano nobile del Palazzo Alliata di Villafranca di Palermo; la principessa era stata decorata con ‘due bellissime Croci, una grande di puro oro smaltata ed un’altra fatta in un smeraldo di considerevole grandezza’[82]. Un altro importante ritratto di Dama dell’ordine dei Cavalieri di Malta è quello di Vincenza Oneto Ruffo che ebbe concessa dal Gran Maestro Emanuele Pinto (1681-1773) nel 1772 la Gran Croce di Malta[83]. Tra i ritratti, assai più numerosi, di Cavalieri in Sicilia si ricordano i diversi dell’Arciconfraternita San Basilio degli Azzurri di Messina, importanti figure di nobiluomini che hanno ricoperto la carica di Governatori[84], come quello di Don Domenico Barone di Moncada della seconda metà del XVIII secolo[85] in cui un cartiglio elenca gli innumerevoli titoli nobiliari e ove il nobiluomo si fregia al collo di una croce di Malta bianca con giglietti d’oro sormontata da corona, come quelle ricordate del Tesoro della Madonna della Lettera di Messina (Fig. 45).
Tra gl’innumerevoli personaggi insigniti della Gran Croce dei cavalieri di Malta si ricorda il cardinale Antonio Barberini il Giovane (1607-1671), nipote di Urbano VIII, ritratto da Carlo Maratta (1670-1671) nella posa del noto modello del Cardinale Richelieu di Philippe de Champaigne, opera conservata presso la Galleria Nazionale di Arte antica di Palazzo Barberini di Roma[86]. Lo stesso porporato, eletto protettore della Santa Casa di Loreto (1633-1640 e 1653-1671) e titolare del priorato di tre commende vacanti del Sovrano Ordine melitense, è effigiato inoltre su una tela di scuola marchigiana del XVII secolo, esposta nel Museo – Antico Tesoro della Santa Casa di Loreto[87]; in entrambi i casi, tuttavia, il collare celeste e la croce ottagona indossati sopra la mozzetta, ad un’attenta lettura, si palesano piuttosto come emblema dell’Ordre du Saint-Esprit (di cui era stato decorato commendatore, in quanto arcivescovo-duca di Reims, Pari e Gran Cappellano o Elemosiniere di Francia, il 28 aprile 1653 da Luigi XIV)[88], piuttosto che di quello di Malta conferitogli fin dal 1625, cioè prima che intraprendesse la carriera ecclesiastica, in quanto Gran Priore dell’ordine per Roma[89]. Allo stesso modo, un medaglione in ceramica di Doccia (Fig. 46) con il ritratto di Ercole III, Duca di Modena, Reggio e Mirandola (1727-1803) presenta il Toson d’oro e una croce ottagona ritenuta dell’ordine dei Cavalieri di Malta (inv. AN568845001)[90], anche se si tratta della medesima insegna dell’Ordine francese dello Spirito Santo, all’interno del quale il nobiluomo era stato ammesso il primo gennaio 1781 da Luigi XVI, ma non ricevuta in quanto morto nel frattempo[91].
Altro illustre prelato, tra gli esempi degni di nota, fu il Cardinale Girolamo II Colonna (1708-1763), nel cui lungo inventario dei beni si elencano tante preziose croci dell’ordine cavalleresco: ‘una croce di Malta con asola e bottone di brillanti e rubini; (…) altra croce di Malta con cappio ed un pezzo di catena il tutto guarnite (sic) e contornata di brillanti consistenti in tre brillanti grossi / uno in mezzo al cappio legnino altro in mezzo della croce e l’altra nella testata principale della croce e numero ventitre brillanti più piccoli tutti di buon acqua et altri diamantini piccoli di contorno e guarnizione’, stimata ben settemila scudi, ed ancora ‘una croce di Malta con sua catena e bottone; (…) due croci di Malta con sue molle, il tutto d’oro’[92].
La presenza dell’Ordine dei Cavalieri di Malta ha grande espansione anche in Portogallo nel XVIII secolo, come dimostrano numerose insegne dell’ordine e ritratti dell’epoca. Si ricorda ad esempio la croce smaltata di bianco inserita in un monile di rubini e diamanti e pendente da un fiocco caratterizzato dalle stesse gemme, del Museo Nazionale d’Arte Antica di Lisbona[93].
Tra le croci di Malta d’oro ornate da gemme si ricordano quelle del Victoria and Albert Museum di Londra, ovvero una spilla con turchesi e perle riferita genericamente a produzione europea e datata intorno al 1825 circa (Figg. 47-48), e una croce, poi trasformata anch’essa in spilla, considerata una variante della usuale tipologia dell’insegna, ornata da granati e attribuita a produzione inglese del 1800[94] (Figg. 49-50).
Un prezioso anello in oro e smalti policromi della fine del XVII-inizi del XVIII secolo, che reca al centro della piastra ottagonale la croce di Malta smaltata di bianco, fa parte della collezione Thyssen-Bornemisza oggi a Madrid[95] (Fig. 51).
La diffusione dell’ordine nella cattolica Scozia è esemplificabile attraverso il ritratto di Wilhelmina Campbell del 1820 circa di John Partridge, esposto alla Mostra di Edimburgo del 1991, dove la nobildonna porta al collo una croce dei Cavalieri di Malta[96].
Diverse insegne del Sovrano Ordine sono state esposte inoltre alle due Mostre dal titolo Lungo il cammino della Filermosa, tenutesi nella Villa Valguarnera di Niscemi a Palermo nel 2001 e a Rodì Milici nel 2006[97].
Tra gli oggetti particolari raffiguranti la Croce di Malta si segnala l’acquasantiera in ceramica del Museo Nacional de Artes Decorativas di Madrid (inv. CE00065, antico inv. n. 328), realizzata tra la fine del Settecento e il primo Ottocento, di produzione aragonese con influssi del “Levante”, che reca anche la figura di San Giovanni Battista[98].
Significativa è la tela di Placido Algaria (Fig. 52), la cui attività è documentata dal 1675 al 1683, della chiesa di Santa Maria della Catena di Castel di Tusa (Messina), già nell’antica chiesa di San Giorgio, dove il cavaliere difensore della fede cristiana è raffigurato con una croce di Malta bianca sulla corazza, con esplicito riferimento al committente, ma con chiaro e simbolico rimando all’importante ruolo di baluardo del Cristianesimo svolto dai Cavalieri del Sovrano Militare Ordine di Malta[99].
[1] Cfr. M. C. Di Natale, Il tesoro della Matrice Nuova di Castelbuono nella Contea dei Ventimiglia, Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo, 1, premessa R. Cioffi, presentazione A. Di Giorgi, appendice documentaria R. Termotto, F. Sapuppo, Caltanissetta 2005, 20, fig. 8. Cfr. pure Eadem, ’Gli argenti in Sicilia tra rito e decoro’ e ’Scheda II, 3’, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della Mostra, ed. M. C. Di Natale, Milano 1989, 136 e 180; Eadem, L’Oreficeria Madonita dei secoli XV e XVI in ’Nuove Effemeridi’, a. VII, n. 27, 1994/III, 43; Eadem, I tesori della Contea dei Ventimiglia. Oreficeria a Geraci Siculo, Caltanissetta 1995, p. 14.
[2] V. Abbate, Polizzi. I grandi momenti dell’arte, Palermo 1997, 79-80.
[3] M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, 146 e 157.
[4] Per Don Camillo Barbavara cfr. M. C. Di Natale, ‘Oro, argento e corallo tra committenza ecclesiastica e devozione laica’, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della Mostra, ed. M. C. Di Natale, Milano 2001, 22-69. Cfr. pure Eadem, ‘Don Camillo Barbavara e gli orafi e smaltatori nella Sicilia Barocca’ e G. Travagliato, ‘Appendice documentaria. Nuovi documenti a completamento della biografia di Don Camillo Barbavara’, in La Madonna delle Vittorie a Piazza Armerina dal Gran Conte Ruggero al Settecento, catalogo della Mostra, ed. M. K. Guida, Napoli 2009, 123-132.
[5] M. C. Di Natale, ‘Il tesoro di Sant’Agata: gli Ori’, in S. Agata, ed. L. Dufour, Roma Catania 1996, 239-286.
[6] Ibidem. Cfr. pure C. Musumarra, ’Gli inventari del Tesoro di Sant’Agata a Catania’, Archivio Storico per la Sicilia Orientale, s. IV, a. V, 1952, 39-107.
[7] S. Lanuzza, ‘Ritratto di Don Diego Pappalardo’, in Frammenti e memorie dell’Ordine di Malta nel Valdemone, ed. C. Ciolino, prefazione A. Nesci, introduzione C. Marullo di Condojanni, Messina 2008, 276.
[8] Ibidem.
[9] V. Scuderi, ’La Madonna di Trapani’, in Il tesoro nascosto. Ori e argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della Mostra, eds. M. C. Di Natale e V. Abbate, Palermo 1995, 62-66.
[10] V. Nobile, Il tesoro nascoso riscoperto a’ tempi nostri dalla consacrata penna di D. Vincenzo Nobile trapanese, cioè le grazie ed eccellenze del religiosissimo Santuario di Nostra Signora di Trapani ignorate fin’hora da tutti, all’orbe battezzato fedelmente si palesano, Trapani 1698, 756.
[11] Cfr. M. C. Di Natale, ‘Scheda n. I, 70 a, b, c’ e ‘Gli Inventari’, in Di Natale e Abbate, eds. (1995), 154-156 e 249-279.
[12] Cfr. M. C. Di Natale, ‘Scheda n. I, 15 a, b’, in Di Natale e Abbate, eds. (1995), 112-114.
[13] Cfr. M. C. Di Natale, ’Scheda n. I, 70 a, b, c’ e ‘Gli Inventari’, in Di Natale e Abbate, eds. (1995), 154-156 e 249-279.
[14] Sull’argomento cfr. M.C. Di Natale, ’Committenza e devozione. Arte decorativa nel Monastero benedettino del Rosario di Palma di Montechiaro’, in Arte e Spiritualità nella Terra dei Tomasi di Lampedusa. Il Monastero Benedettino del Rosario di Palma di Montechiaro, eds. M. C. Di Natale e F. Messina Cicchetti, Palermo 1999, 73-103.
[15] V. Abbate, ‘Il tesoro come Museum’, in Di Natale e Abbate, eds. (1995), 56, fig. 12. Cfr. pure M. C. Di Natale, ’La croce dei Cavalieri di Malta nelle arti decorative in Sicilia’, in La Presenza dei Cavalieri di San Giovanni in Sicilia, Atti e documenti, Fondazione Melitense Donna Maria Marullo di Condojanni, Collana di Studi, tomo II, anno II, Roma 2002, 35-47.
[16] Cfr. M. C. Di Natale, ’Scheda n. I, 70 a, b, c’ e ‘Gli Inventari’, in Di Natale e Abbate, eds. (1995), 154-156 e 249-279.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] G. Macaluso, ‘Inventario del 1737’, in Di Natale e Abbate, eds. (1995), 268.
[20] Ibidem.
[21] Ibidem.
[22] Ibidem.
[23] Cfr. M. C. Di Natale, ‘Scheda n. I, 70 a, b, c’, in Di Natale e Abbate, eds. (1995), 154-156.
[24] Llibres de Passanties, Instituto Municipal de Historia de la Ciudad di Barcellona
[25] N. Giannoni, ’Disegni di Gioielli spagnoli (1500-1629) attraverso le pagine dei Llibres de Passanties’, in Di Natale, ed. (2001), 657. Per i disegni dei Passanties cfr. pure P. E. Muller, Jewels in Spain 1500-1800, New York 1972.
[26] M. C. Di Natale, in La Presenza dei Cavalieri (2002), 40-41.
[27] M. C. Di Natale, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, II ed. 2008, che riporta la precedente bibliografia. Cfr. pure C. Ciolino, ’Iconografia della Madonna della Lettera nelle Arti Decorative’, in Arte, storia e tradizione nella devozione della Madonna della Lettera, Atti del Convegno, ed. G. Molonia, Messina 1995, 40.
[28] Ibidem.
[29] E. Mauceri, Il tesoro del Duomo di Messina, Bollettino d’Arte, III, s. II, vol. I [1], Milano Roma 1923, 7-22.
[30] C. Ciolino, ‘Sulle vie dei Cavalieri di Malta. Il Valdemone messinese’, in Ciolino, ed. (2008), 67.
[31] Ibidem. Cfr. pure C. Ciolino, ‘Per una storia della gioielleria a Messina’, in La tradizione orafa a Messina, Messina 1990, fig. 35, 40; M. C. Di Natale, in La Presenza dei Cavalieri (2002), 35-47.
[32] C. Ciolino, ’Manta’, in Ciolino, ed. (2008), 207-209.
[33] D. Argananzio, Pompe festive celebrate dalla nobile ed esemplare città di Messina, Messina 1659, 129.
[34] C. Ciolino, in Ciolino, ed. (2008), 67-71 e 209.
[35] F. Balzan, Jewellery in Malta. Treasures from the Island of the knights (1530-1798), Malta 2009, 46.
[36] C. Ciolino, in Ciolino, ed. (2008), 68.
[37] C. Ciolino, ’Rosario con pendente e Rosario con pendente’, in Ciolino, ed. (2008), 210-213.
[38] C. Ciolino, in Ciolino, ed. (2008), 67-72.
[39] C. Ciolino, in Ciolino, ed. (2008), 68.
[40] S. Todesco, ‘La Vergine della Misericordia’, in Ciolino, ed. (2008), 144-145.
[41] S. Todesco, ‘La Vergine della Misericordia’, in Ciolino, ed. (2008), 146-147.
[42] S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo dal XVII secolo ad oggi, saggio introduttivo di M. C. Di Natale, Milano 1996, 81.
[43] S. Barraja, Gli orafi e argentieri di Palermo attraverso i manoscritti della maestranza, in Di Natale, ed. (2001), 672.
[44] G. Filingeri, Il SS. Crocifisso in Montelepre. Tra culto, mito, leggende e tradizioni, Montelepre 2006, 97.
[45] Inventario di tutto l’oro, giogali, argento e suppellettili esistenti nella ven. grotta di Santa Rosalia esistente nel Monte Pellegrino ritrovato sotto li 9 ottobre del 1769 colla soprintendenza dell’Ill. Sig.r D. Placido Vanni Deputato Amministratore, ms. della Biblioteca Comunale di Palermo ai segni 3QqE39. Cfr. pure G. Cardella, ’La scoperta di un inventario manoscritto del 1812 del Tesoro di Santa Rosalia del Sacro Monte. Appunti su ori editi e inediti del Tesoro’, in Di Natale, ed. (2001), 730-741.
[46] G. Cardella, in Di Natale, ed. (2001), 730-741.
[47] M. C. Di Natale (2000, II ed. 2008), che riporta la precedente bibliografia. Cfr. pure M. C. Di Natale, ’Il tesoro di Santa Lucia a Siracusa’, in Il carro di Tespi. Studi di Storia dell’Arte per Maurizio Calvesi, ed. S. Valeri, Roma 2004, 185-200.
[48] M. C. Di Natale, in Valeri, ed. (2004), 199.
[49] Ibidem.
[50] F. Balzan (2009), 14 e 99-103.
[51] Cfr. Vanity, Profanity & Worship: Jewellery from the Maltese Islands, catalogo della Mostra, Malta 2013.
[52] A. F. Grazioso Polara, La croce Borgia del tesoro di Santa Lucia nella Cattedrale di Siracusa, Siracusa 2009, 3-16. Cfr. pure D. Bottaro, Santa Lucia: sacro e prezioso, il corredo del simulacro di Santa Lucia a Siracusa, Siracusa 2010, 57. Per il nobiluomo cfr. V. Palizzolo Gravina, Il blasone in Sicilia, Palermo 1871-1875, vol. II, 81-82.
[53] A. F. Grazioso Polara (2009) 3-16. Cfr. pure D. Bottaro (2010), 57.
[54] M. C. Di Natale, ‘Joseph Bruno (Messina, 1622 ca.–1682) e aiuti. Pendente con San Giovannino e la Croce dei Cavalieri di Malta’, in Un Museo immaginario. Schede dedicate a Francesca Campagna Cicala, ed. G. Barbera, Messina 2009, 101-103.
[55] Ibidem.
[56] F. Susinno, Le vite dei pittori messinesi, ms. del 1724, ed. V. Martinelli, Firenze 1960, 200-201.
[57] Cfr. A. Amodeo, Grafica per orafi. Modelli del Cinque Seicento, Firenze 1975, 60-62, figg. 126-127. Cfr. pure G. Musolino, ’Giuseppe Bruno e le insegne cavalleresche nella gioielleria messinese del XVII secolo’, in Il Tesoro dell’isola. Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, catalogo della Mostra, ed. S. Rizzo, vol. I, Catania 2008, 177; Eadem, ‘“L’Habito” dei Cavalieri di Malta tra ornamento ed esigenze propagandistiche’, in Ciolino, ed. (2008), 341.
[58] Ibidem.
[59] G. Fighera, L’indie impoverite. Poema miscellaneo per la Messina festante nella solennissima festività celebrata a 3 di Giugno 1665 di S.M. della Lettera, Messina 1665. Cfr. in proposito G. Musolino, in Rizzo, ed. (2008), 177-178 e nota 6, 188.
[60] S. Bary, Jewellery Gallery Summary Catalogue, Londra 1982, 73, n. 5. Cfr. pure M. C. Di Natale-G. Volpe, ’Schede nn. I, 24, I, 25’, in Di Natale, ed. (1989), 96; M. C. Di Natale (2000, II ed. 2008), 157-163; Eadem, in Di Natale, ed. (2001), 51; G. Musolino, in Rizzo, ed. (2008), 183; F. Balzan (2009), 130-131.
[61] J. Evans, A History of Jewellery, 1100-1870, Londra 1953, tav. 114.
[62] G. Musolino, in Ciolino, ed. (2008), 343.
[63] F. G. Polizzi, Splendori di Sicilia al Victoria and Albert Museum. Relazioni tra collezionismo anglosassone e arti decorative siciliane attraverso le raccolte del Department of Metalwork, tesi del Dottorato di ricerca in Storia dell’Arte Medievale Moderna e Contemporanea in Sicilia, Università degli Studi di Palermo, Tutor Prof. M. C. Di Natale, anni acc. 2008-2011, 70-71 e 140-143.
[64] Ibidem.
[65] Ibidem.
[66] K. Aschengreen Piacenti-J. Boardman, Ancient and Modern Gems and Jewels in the Collection of Her Maiesty the Queen, Londra 2008, 25-253. Cfr. pure F. Balzan (2009), 17, che pubblica il verso del pendente con la croce di Malta e la bordura floreale.
[67] L. Arbeteta Mira, ‘Joyas Mallorquinas y obras de Giuseppe Bruno en la Collecciòn Làzaro’, Goya. Revista de arte, Madrid 2002, n. 287, 69-82; Eadem, El arte de la Joieria en la collecciòn Làzaro Galdiano, n. 147, Caja Segovia 2003, 180. Cfr. pure M. C. Di Natale, (2000, II ed. 2008), 157-158.
[68] G. Musolino, in Rizzo, ed. (2008), 183.
[69] A. Kugel, Joyaux Renaissance. Une splendeur retrouvée, catalogo della Mostra, ed. A. Kugel, Parigi 2000, cat. n. 94.
[70] G. Musolino, in Rizzo, ed. (2008), 183.
[71] Ibidem, 185.
[72] S. Debono, ’Scheda 24’ e G. Leone, ’Scheda 25’, in S. Debono, G. Valentino, Mattia Preti. Faith and Humanity, catalogo della Mostra, Malta 2013, 218-219 e 220-222.
[73] M. Accascina, 1974, 321-322.
[74] A. Kugel (2000), cat. n. 93.
[75] G. Musolino, in Rizzo, ed. (2008), 183.
[76] L. Arbeteta Mira (2003), n. 149, 184, che riporta la precedente bibliografia.
[77] E. González Gozalo, ’La cruz de Malta en el joiero del Mallorca’, in La Orden de Malta, Mallorca y el Mediterraneo, catalogo della Mostra, ed. M.O. Moragues, Palma di Majorca 2001, 222-223. Cfr. pure G. Musolino, in Rizzo, ed. (2008), 187.
[78] E. González Gozalo, in Moragues, ed. (2001), 219-228. Cfr. pure G. Musolino, in Ciolino, ed. (2008), 345.
[79] G. Musolino, in Rizzo, ed. (2008), 183. Cfr. pure E. González Gozalo, in Moragues, ed. (2001), 213-221 e L. Arbeteta Mira, in Goya.Revista de arte, n. 287, 2002, 69-82.
[80] Cfr. La Jojeria espanola de Felipe II a Alfonso XIII, catalogo della Mostra, Madrid 1999, 151.
[81] M. C. Di Natale, in La Presenza dei Cavalieri (2002), 37, fig. 9.
[82] G. Travagliato, ‘Il palazzo dei principi Alliata di Villafranca a Palermo: per secoli monumento e documento di vita quotidiana, in Abitare l’arte in Sicilia. Esperienze in età moderna e contemporanea, eds. M.C. Di Natale e P. Palazzotto, Palermo 2012, 23-38, 178-182, in part. 36-37, 182.
[83] M. C. Di Natale, in La Presenza dei Cavalieri (2002), 37.
[84] Ciolino, ed. (2008), passim e 158-178.
[85] C. Ciolino, ’Ritratto di Domenico Moncada’, in Ciolino, ed. (2008), 164-165.
[86] F. Petrucci, ‘Tipologia della ritrattistica cardinalizia tra ‘500 e ‘600’, in La Porpora romana. Ritrattistica cardinalizia dal Rinascimento al Novecento, catalogo della Mostra, eds. M.E. Tittoni e F. Petrucci, Roma 2006, 26-28.
[87] Si ringraziano Suor Luigia Busani e la Dott. Katy Sardi per la gentile segnalazione.
[88] A. Teulet, Liste chronologique et alphabétique des chevaliers et des officiers de l'ordre du Saint-Esprit depuis sa création en 578 jusqu'à son extinction en 1830, Paris 1864, passim.
[89] Per ulteriori approfondimenti si rimanda ad A. Merola, ad vocem ‘Barberini, Antonio’, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. VI, Roma 1964.
[90] A. W. Franks, Catalogue of a Collection of Continental Porcelain, London 1896, 472 e A. Dawson, Unexpected Treasures- Doccia Porcelain in the British Museum, Amici di Doccia, Fascicolo 3, Firenze 2009, 23, fig. 17, 25-26.
[91] A. Teulet (1864), passim.
[92] R. F. Margiotta, I Colonna di Paliano e la Sicilia. Committenza e collezionismo, Tesi di Dottorato di ricerca in Storia dell’Arte Medievale Moderna e Contemporanea in Sicilia, XXII ciclo, Università degli Studi di Palermo, tutor M. C. Di Natale, anno acc. 2010-2011.
[93] L. d’Orey, Five Centuries of Jewellery. National Museum of Ancient Art, n. 113, London Lisbon 1995.
[94] La prima ha il num. di inventario: M.25-1996, la seconda M.361-1910.
[95] Capolavori di oreficeria della collezione Thyssen-Bornemisza, catalogo della mostra, Milano 1989, 37, n. 33.
[96] C. Gere, ’Scheda n. 57’, in The art of Jewellery in Scotland, catalogo della Mostra, eds. R. K. Marshall e G. R. Dalgleish con la collaborazione di C. Gere, E. Goring, D. Scarisbrick, Edimburgo1991, 70.
[97] Lungo il cammino della Filermosa, Monete, Medaglie, Decorazioni, Memorie Melitensi, catalogo della Mostra di Palermo, Roma 2001 e Lungo il cammino della Filermosa, Testimonianze e memorie,catalogo della Mostra di Rodì Milici, Roma 2006. Per diversi ritratti di collezioni private di Messina di nobili dell’ordine fregiati della croce di Malta cfr. L’Ordine di Malta e il Tempio di San Giovanni Gerosolimitano a Messina. Documenti e memorie, Messina 1998.
[98] M. I. Alvaro Zamora, Cerámica aragonesa, vol. III, Zaragoza 2002, 249-256.
[99] A. Pettineo, ‘San Giorgio’, in Ciolino, ed. (2008), 138-139.