Il primo Festino

 

Il culto delle reliquie ha particolare importanza nella ma­nifestazione della devozione dei fedeli nei confronti di un Santo[1]. La venerazione delle Sacre Spoglie, mediazione tra terreno ed ultraterreno, visibile e invisibile[2], annovera dei rituali, quali il bacio delle stesse o la loro processione, che fondamentalmente ne esaltano il valore taumaturgico accen­tuato dal contatto con le artistiche custodie e dal semplice sfi­lare delle maestose urne concepite per contenere dignitosa­mente i preziosi resti.

Il ritrovamento delle ossa di Santa Rosalia, avvenuto il 15 luglio del 1624, in un momento particolarmente travagliato della storia palermitana segnato dal diffondersi del morbo pe­stifero che faceva il suo ritorno nel capoluogo isolano dopo appena cinquanta anni[3]) rigini toscane; cfr. A. Amor,, fu devotamente salutato dal popo­lo e tramandato dai cronisti come un prodigioso episodio di intercessione divina, significando che le già patite sofferenze erano sufficienti a lavare i peccati di cui si era macchiata la città di Palermo[4]. Prima dell'ufficiale riconoscimento, da parte delle autorità ecclesiastiche, delle reliquie[5], si celebra­rono tre processioni straordinarie, ricordate dal Paruta: "una il di 4 di Settembre (giorno nel quale ab antico nella Chiesa di Palermo si suole celebrare la felicissima Santa [Rosalia] in cielo) conducendo con l'assistenza del Signor Cardinale, e del Senato in un quadro dipinta la sua Imagine venerata per tutto con lagrime, e voci, e preghiere affettuosissime, per i miracoli che da Dio cominciavano a piovere sopra la povera Città inferma, per intercessione di essa Santa"[6]. La seconda, previ­sta dal calendario liturgico, ma che in questo particolare mo­mento assume un chiaro significato penitenziale, fu quella dell'Immacolata Concezione, di cui un'immagine in argento fa portata dal Duomo alla chiesa di San Francesco d'Assisi[7]. Infine la terza vide sfilare attraverso la via Toledo, sino alla chiesa di Santa Maria della Catena, il miracoloso Crocifisso Chiaramente della Cattedrale, ripetendo la processione cele­brata per la peste del 1575, e la stauroteca con il frammento della Santa Croce, per la quale risulta questa data come ter­mine ante quem per la sua presenza nel patrimonio del tesoro della chiesa Metropolitana[8].

Tuttavia, autenticati i reperti ritrovati sul Monte Pellegri­no da parte di esperti teologi e scienziati appositamente con­vocati dal Cardinale Giannettino Doria[9], proprio per fe­steggiare la miracolosa scoperta, a cui si attribuiva la fine dell'epidemia, per volontà popolare e per emanazione della Chiesa ha deciso di onorare i resti della Santuzza con una so­lenne processione.

Già un imponente corteo, composto dal Consiglio Reale, dal Senato, dai cittadini illustri e da tutto il Clero, aveva ac­compagnato il passaggio delle ossa della Santa, riposte all'in­terno di uno scrigno rivestito di velluto cremisi, dal Palazzo Arcivescovile alla Cattedrale[10].

Tuttavia ben più imponente fu l'attraversamento di alcune strade della città fatto dalla prima arca reliquiaria d'argento e cristalli predisposta per contenere le Spoglie della novella Pa­trona di cui è possibile sottolineare non soltanto l'iconografia del percorso e la disposizione dei partecipanti al corteo, ma anche le architetture effimere e le parature commissionate dai vari ordini religiosi e dalle rappresentanze delle Nazioni pre­senti a Palermo per onorare la Santa.

Attraverso la lettura delle fonti più o meno coeve all'avve­nimento[11] e soprattutto dalla trascrizione di un inedito ma­noscritto della Biblioteca Comunale[12] emerge la solennità e la ricchezza delle decorazioni approntate per ornare i palazzi che si affacciavano lungo le strade toccate dal passaggio dell'urna, che sicuramente colpirono l'occhio degli spettatori.

L'allestimento di tali decorazioni richiese la collaborazio­ne di varie maestranze, quali i paratori, i falegnami, i sarti, gli intagliatori, i pittori, gli architetti, e lo stesso Cascini dice che "tutte le Arti furono con questa occasione di tanta festa pre­stamente avvivate"[13], producendo una così imponente or­namentazione scenografica che anche altri cronisti furono concordi nel ritenere che mai più fu ammirata tanta opulenza.

Certamente in un periodo segnato da morte e malattia, da tristezza e miseria causate dalla terribile epidemia, non si badò a spese per cercare, almeno per un momento, di allonta­nare ed esorcizzare il tremendo male.

La stessa chiesa Metropolitana si presentava riccamente ornata in tutte le sue parti e, affinché risplendesse per decoro e ricchezza degli apparati, fu delegato, quale rappresentante del Senato alla soprintendenza delle ornamentazioni, France­sco Riquesens Barone di San Giacomo[14].

L'antica tribuna gaginiana era coperta di damasco rosso e giallo come anche la cappella del SS. Sacramento e l'altra che una volta custodiva le tombe dei Rè, la cappella della Madon­na Libera Inferni ed ancora la zona dove prima erano le tom­be degli Arcivescovi[15].

Seguendo, poi, la descrizione dell'ignoto cronista, che evi­denzia la pianta della Cattedrale prima degli stravolgimenti settecenteschi, si apprende che tutte le parature scaturivano dal tetto della chiesa ed erano arricchite da ricami in oro e si dovevano all'eredità del già defunto Principe Filisberto Gran Priore di Castiglia, e generalissimo della mari et viceré (sic) in questo regno di sicilia (sic), anch'egli vittima del terribile male[16]. Inoltre lampade d'argento pendevano da ogni arco e contemporaneamente illuminavano un dipinto raffigurante un Santo palermitano a sua volta incorniciato da drappeggi di velo di seta cruda[17].

La cappella in cui erano state accolte le spoglie di Santa Rosalia, insieme a quelle delle Sante Cristina e Ninfa, si distingueva per la profusione con cui furono usati i tessuti di inborcato di oro sopra oro con recamo di oro dove se vediano scolpite le arme del principe filisberto (sic), il quali aparato era di molta sti­ma, di incinera che in detto domo altro di frabica non si vedea solo che il pavimento che il resto era coperto tutto di inborcato e recamo di oro, e damasco[18].

Al centro del coro spiccava la vara di cristallo, posta su un alto trono foderato di tela d'argento, con ricamate delle rose, e circondato da numerosissimi ceri. Infine "abbagliava gli oc­chi – come nota Paruta – di chi vi si rivolgeva" l'addobbo della porta principale del Duomo, tutta incorniciata da "lunghissi­mi, ed ampissimi drappi, gialli, e cremisi compartiti a falde di detti colori"[19].

Uscendo dalla Cattedrale era ancora un tripudio di para­ture ed addobbi floreali, come quelli che ornavano i campanili della stessa chiesa e il Palazzo Arcivescovile, ricoperti per buona parte della loro elevazione di broccato d'oro[20].

Il corteo processionale prese l'avvio dall'ingresso principa­le della chiesa Metropolitana, ed era aperto da sei uomini a cavallo a cui seguivano i suonatori di tamburo, i mazzieri e gli araldi del Senato, tutti con divise gialle e rosse, colori della municipalità[21].

In pieno spirito post-tridentino, di cui si palesavano i det­tami circa le intenzioni didascaliche mirate all'ammaestramen­to del fedele, seguiva la personificazione della Clemenza, ca­ratterizzata, come si rileva dal testo del Paruta, che fornisce precise indicazioni per uno studio iconologico, da un lungo abito stellato d'oro, manto color turchino e sul capo una ghir­landa di "misteriosa gramigna"[22]. Essa, portando in mano uno stendardo ove era raffigurata Santa Rosalia che intercede presso la Trinità per la liberazione di Palermo dalla peste, sfi­lava affiancata dalla Fede, riconoscibile dal calice e dall'elmo dorato sul capo, e dalla Speranza, vestita di un abito verde e con una corona di fiori d'arancio, attenendosi così all'autore­vole Iconologia di Cesare Ripa, secondo cui la presenza dei fiori di un albero da frutta simboleggia la "speranza" di un buon raccolto[23]. Seguivano altre personificazioni delle Virtù quali la Contrizione, vestita di grigio, nell'atto di battersi il petto con un sasso e con il capo cinto da una ghirlanda "d'appio", la Penitenza, con "veste di ciucio", in mano una disciplina[24] per percuotersi e coronata di rosmarino, la Verecundia, vestita di rosso, con uno specchio in mano e coronata da rami di co­rallo rosso, la Confessione, vestita di bianco, con una colomba in mano ed il capo acconciato con fronde di lentisco[25], la Soddisfazione, abbigliata come una pellegrina con veste viola e mantellino nero, con in mano un bordone[26] e il capo cinto di fiori di pesco, la Detestazione, con "veste lionata", fascette di spine in mano, velo in testa con corona di capelli finti, la Remissione, con abito color "olivigno", ramo di vite in mano e coronata da fronde di "cotogno", e infine la Grazia che indos­sava un abito rosso con su ricamate rose bianche e manto bian­co con rose vermiglie e in mano teneva due mazzetti sempre degli stessi fiori che le cingevano pure il capo. La viva rappre­sentazione di tutte queste allegorie, fedele a quanto proposto dal Ripa, di cui si conosceva l'edizione illustrata del 1603 con figure derivate dal Cavalier D'Arpino, aveva un palese intento didascalico e presentava una necessaria mediazione tra pagane­simo e cristianesimo[27], a cui si era fatto ricorso, già a partire dal Medioevo, per esemplificare al fedele-spettatore la nume­rosa serie di Virtù considerate la base di una santa esistenza, proponendo così un'acculturazione della religione cristiana che, pur essendo stata rigidamente "ridimensionata" dopo il Concilio di Trento, continuava ad attingere all'inesauribile fonte dell'antichità pagana.

Continuavano il corteo il Mazziere e gli Ufficiali della Ta­vola del Senato, i Governatori e i Ministri, precedendo le rap­presentanze dei quattro quartieri cittadini, ciascuna con pro­prio stendardo e bara: per primo era lo stendardo della Log­gia con raffigurate Santa Rosalia e Santa Oliva, patrona del quartiere come si può anche evincere dalla distribuzione delle statue dei Quattro Canti[28], e dietro era la bara con una ri­produzione plastica della scena del seppellimento sul Monte Pellegrino della Santuzza da parte degli Angeli[29]. Seguiva lo stendardo del Capo con Santa Ninfa, anch'essa accoppiata alla nuova Patrona, ed una bara che riproduceva un edificio sacro con una iscrizione dedicatoria, anticipazione di quella che sarebbe stata la chiesa costruita sul luogo in cui furono ri­trovate le ossa[30]. Ancora era lo stendardo della Kalsa, con le Sante Agata e Rosalia, che avanzando precedeva una bara su cui era ricostruita la scena della ricerca delle Sacre Spoglie sul Monte dell’Ercta[31], mentre il ritrovamento vero e pro­prio delle reliquie era il soggetto della bara del quartiere dell'Albergheria, che seguiva dopo lo stendardo con l'imma­gine della sua protettrice Cristina[32].

Sfilavano adesso le Confraternite ciascuna con proprio stendardo e bara con il Santo a cui erano votate, probabil­mente regolate da un "ordine", come avverrà per i Festini ce­lebrati nel XVIII e XIX secolo[33], che veniva stabilito prima del percorso. Apriva la lunga serie delle associazioni laicali la confraternita della Madonna di Piedigrotta[34], seguita da quella di San Giuseppe e di Santa Maria di Gesù. Veniva poi

11 solo stendardo dell'associazione dei "mulinari"[35], che precedeva le confraternite di Maria SS. del Soccorso all'Al­bergheria, dei Santi Elena e Costantino[36], di San Cristoforo, di San Rocco, di San Sebastiano, di Sant'Andrea, di San Paolo, di San Leonardo, e di San Nicolo alla Kalsa. Ancora seguivano lo stendardo dell'associazione delli fornara[37] la confraternita di Sant'Anna, quella di San Marco, di Santa Ma­ria Maddalena, di San Giorgio, di Santa Barbara la Sciabica, di San Giovanni alla Marina, di San Giovanni al Palazzo e di San Giuliano. Procedevano lungo la via Toledo anche i con­frati di Sant'Agata alla Guilla, di Santa Barbara in San Teodoro, di Sant'Agata di Civalcari, di Sant'Agata di fuori e di San Pietro la Bagnara. Infine completavano la ricca rappresentan­za delle associazioni laicali di Palermo le confraternite di San Giacomo la Mazzara, di Sant'Alberto, di San Michele Arcan­gelo, di San Pietro Martire, dei SS. Cosma e Damiano e di San Nicolo del Borgo[38].

Una così nutrita presenza di simulacri alla festa della San­ta Patrona, che "non sostituisce ma unifica i culti dei Santi particolari"[39], dava luogo ad una manifestazione di religio­sità popolare fatta di suoni, canti, preghiere, gesti e riti che, seppur talvolta possono trascendere nella sfera della supersti­zione, sono la chiara rappresentazione della sincera devozione verso una Santa alla quale, come nel caso di Rosalia, per la congiuntura degli eventi vengono attribuiti poteri taumatur­gici.

Ma continuando ad analizzare le fonti sul primo Festino, si scopre che alla processione partecipò anche una delegazio­ne degli abitanti della contrada di Ficarazzi[40] che, portan­do un cero di enorme misura, precedeva la lunga rappresen­tanza delle Compagnie laicali[41]. Il loro sfilare era sceno­graficamente arricchito dalla presenza della personificazione di una Virtù strettamente collegata alla vocazione propria di ciascuna associazione, ma con la funzione di portare lo sten­dardo. Così alla compagnia dell'Assunzione, che apriva la lunga serie delle stesse, era abbinata la Religione Cristiana, a quella del SS. Sacramento della Cattedrale l'Eccellenza, mentre la figura della Devozione, probabilmente caratteriz­zata, secondo i dettami del Ripa, da un lume acceso[42], portava lo stendardo della compagnia del Rosario di San Do­menico. La compagnia del Nome di Gesù in Santa Cita, det­ta dei Verdi, era rappresentata dalla Adorazione, quella del Nome di Gesù in San Domenico dalla Potenza, quella della Concezione della Beata Vergine dalla Perfezione. Inoltre la figura della Mortificazione portava lo stendardo della com­pagnia di San Bernardo detti Li Capoccinelli[43], l'Abiezione quello della compagnia di San Francesco di Paola, la Vittoria, caratterizzata da una veste rossa, quello di Santo Stefano Protomartire. Occupava la decima posizione la com­pagnia di Santa Maria della Pace, il cui stendardo era portato dalla personificazione della Pace stessa, riconoscibile dalla corona di rose e fronde di olivo, corteggiata dalla Concordia, dalla Semplicità, dalla Giustizia, dall'Equità, dalla Riconciliazione, dalla Fermezza, dalla Tranquillità e dalla Serenità, che la seguivano accoppiate, precedendo lo stendardo della com­pagnia di Santa Maria degli Angeli tenuto dalla figura della Gloria. Seguivano le compagnie dei Diecimila Martiri, di San Paolo Eremita, di San Giacomo la Marina, e dei SS. Quaranta Martiri rispettivamente rappresentate dalla Gene­rosità, dalla Penitenza, dalla Dignità e dall'Onore, mentre gli stendardi delle compagnie della Madonna del Carmine e dei Cavalieri d'Alcantara detta di San Corrado erano portati da­gli stessi confratelli. Al numeroso corteo partecipava, occu­pando il diciannovesimo posto, la compagnia della Madonna dell'Itela, a cui si accompagnava la figura del Rimedio, quella della Resurrezione del Signore, rappresentata dall'Eternità, quella del Volto di Cristo, alla quale non era abbinata nessu­na Virtù, la compagnia di Santa Caterina all'Olivella, prece­duta dalla figura della Memoria e quella di Santa Maria della Mercede caratterizzata dalla presenza della personificazione della Redenzione. Nessuna Virtù portava lo stendardo della compagnia di San Lazzaro, mentre quello della compagnia di San Sebastiano di Calatrava era portato dalla figura della Sa­nità, quello dell'Annunciazione del Giglio dall'Umiltà, gli stessi confratelli portavano quello della compagnia della Buona Morte, la figura della Sapienza quello della compa­gnia di Santa Maria Maggiore e ancora la personificazione della Misericordia precedeva proprio la compagnia della Mi­sericordia di Savona, la Chiarezza quella dei Sette Angeli, la Peregrinazione quella di San Rocco e la mortificazione la compagnia di Santa Maria di Gesù. Ancora nessuna virtù te­neva lo stendardo delle compagnie del Monte Calvario, della Madonna di Trapani e di Sant'Antonio. Al trentacinquesimo posto era la compagnia dei Tré Rè rappresentata dalla perso­nificazione della Luce, a cui seguiva la figura della Solitudine che portava lo stendardo della compagnia di San Giovanni Battista. Sempre dagli stessi confratelli erano portati in pro­cessione gli stendardi delle compagnie del Sangue di Cristo e del SS. Sacramento in Sant'Ippolito, mentre la personifìcazione della Felicità rappresentava la compagnia della Madon­na del Ponticello, la Consolazione quella di Santa Maria del Riparo in San Mercurio e la Meditazione la compagnia del SS. Rosario in Santa Cita. Di nuovo nessuna Virtù, ma gli stessi confratelli, portavano lo stendardo della compagnia del SS. Sacramento di San Nicolo alla Kalsa, che avanzava nel lungo corteo precedendo la figura della Salute abbinata alla compagnia di San Giovanni dei Tartari. Al quarantaquattresi-mo posto era la personificazione della Esercitazione con lo stendardo della compagnia di Sant'Onofrio, seguita dalla fi­gura dello Zelo abbinata alla compagnia di Sant'Angelo Car­melitano, dalla rappresentazione dall'Amore, che caratteriz­zava la compagnia degli Innamorati di Sant'Agostino, e anco­ra dalle "umanizzazioni" della Libertà, della Verità e della Compassione rispettivamente portatrici degli stendardi delle compagnie dei Cordiglieri di San Lorenzo, dei Verdi di San Dionigi e di Sant'Orsola. Il cinquantesimo posto era occupa­to dalla compagnia di Santa Cristina la Vetere e la virtù che contemporaneamente la rappresentava e portava il suo sten­dardo era l'Ospitalità. Ad essa seguiva la compagnia di San Geronimo a cui era affiancata la figura della Protezione, la compagnia del SS. Sacramento in Santa Margherita, che co­me per altre compagnie votate allo stesso culto non era rap­presentata da alcuna Virtù, quella della Carità di San Giaco­mo rappresentata dalla personificazione della Diligenza, quelle del SS. Sacramento in Santa Croce e in San Nicolo all'Albergheria, abbinate alle figure della Riverenza e della Santità, e la compagnia della Carità di San Bartolomeo, ac­compagnata proprio dalla figura della Carità, a sua volta cor­teggiata dalla Misericordia, che teneva in mano una corona di olivo, dalla Compassione, caratterizzata dall'erba di "cana­pe", dalla Pietà, coronata di bettonica[44], dalla Beneficenza, che portava tra le braccia fasci di spighe, dalla Mansuetudine, riconoscibile dalle fronde di timo, dalla Concordia, con fron­de di granato secondo la simbologia proposta da Vincenzo Cartari[45], altro autorevole iconologo, e ripresa dal Ripa[46], dallo Zelo verso Dio, circondato d'incenso, e dallo Zelo verso il prossimo, arricchito d'erba e fior di Melissa. Infine concludeva la lunga serie di queste associazioni occupando il cinquantasettesimo posto la compagnia del SS. Crocifisso det­ta dei Bianchi, di cui teneva lo stendardo la personificazione della Purità affiancata dall'Innocenza, con una corona di pal­me, dalla "Mundicie", che teneva in mano una ghirlanda di gelsomini, dalla Letizia, caratterizzata dai fiori di borragine, dall'Orazione, arricchita di fronde d'edera, dalla Candidezza, che portava in mano mazzi di gigli, dalla Gloria, con fiori "dell'erba pollo", la Giustizia, rivestita di vari fiori, e dall'Ec­cellenza della Vita, che tra le mani teneva fronde di cedro. Molte di queste rappresentazioni allegoriche verranno ancora plasticamente riproposte, mantenendo i loro significati plateali e reconditi, nei carri trionfali dei festini dell'Ottocento, so­pravvivendo anche nelle loro tipizzazioni iconografiche[47].

Il Lungo corteo era ancora continuato dalla presenza delle zitelle che, sfilando con il capo coronato di rose, portavano in processione un fercolo su cui era ancora una volta riprodotta visivamente la scena del seppellimento di Santa Rosalia ope­rato dagli Angeli[48]. Ad esse seguivano le "sperse" e gli "spersi", ciascuno con una bara su cui erano ancora scene inneggianti la Santa Patrona[49], e ancora gli orfani, che durante il percorso trasportavano un fercolo con San Rocco, lo­ro santo protettore[50].

Cominciavano, poi, a sfilare gli Ordini Religiosi, disposti in fila per due e con luminose torce in mano. Primi erano i frati Cappuccini che portavano in processione un'articolata vara composta da quattro piramidi di cristallo, contenenti nu­merose reliquie di Santi, sormontate da una nuvola rivestita di tessuto argentato su cui era raffigurata Santa Rosalia inginoc­chiata ai piedi della Madonna[51].

Seguivano gli Scalzi Riformati di Sant'Agostino sotto il ti­tolo di San Nicolo da Tolentino, anch'essi muniti di fercolo processionale su cui era il simulacro del loro Santo titolare af­fiancato dalla Vergine palermitana[52].

Gli Scalzi di San Francesco, detti Padri della Misericordia, serrati sino al mattino stesso del giorno della solenne festa all'interno del convento perché in sospetto di essere stati con­tagiati dalla terribile epidemia, per onorare al meglio la Santa Patrona indossarono i parati più ricchi da loro posseduti e portarono in processione una bara con San Ludovico di Fran­cia[53].

Fecero parte del corteo anche i padri di San Francesco di Paola, i quali trasportarono una bara su cui era plasticamente raffigurato il Santo Padre che risana un appestato[54].

I padri Mercedari fecero sfilare il simulacro di uno dei pri­mi adepti del loro ordine, San Raimondo Nonnato[55], segui­ti dai padri dell'ordine carmelitano, i quali idearono una vara ben articolata raffigurante il Monte Carmelo su cui era la figu­ra di Elia che indicava una fonte da dove sgorgava dell'acqua alimentando un simbolico giardino di rose. Una serie di carti­gli erano riempiti da iscrizioni che giocavano sull'accostamen­to dei nomi Rosa ed Elia[56].

Ancora il Seppellimento della Santa Eremita era il tema presentato dalla bara degli Agostiniani[57] che precedeva gli Zoccolanti della Gancia (oggi Minori) e i Conventuali di San Francesco d'Assisi. Sfilando i primi a sinistra, gli altri a destra, portarono in processione due distinte bare[58]. Quella dei padri di Santa Maria degli Angeli raffigurava i Santi Bonaventura, Bernardino, Diego, Antonio, Ludovico, Francesco, Gio­vanni da Capestrano e Giacomo della Marca sormontati da una nuvola argentata su cui era Santa Rosalia, l'altra dei con­ventuali presentava un alto albero di olive con in cima la Santuzza[59].

Chiudevano la serie degli Ordini religiosi i Domenicani, che, portando in processione una bara arricchita da numerosi reliquiari e con al centro un cane con una torcia in bocca sor­montato dall'aquila del Senato palermitano e dal simulacro del loro Santo Titolare[60], precedevano i Canonici Regolari di San Giacomo la Mazzara, anch'essi con una bara con un'immagine del Beato Lorenzo Giustiniani[61]. L'uso di accompagnare le spoglie della Santa con barette continuerà nei secoli, ed un esempio di questi caratteristici fercoli è fornito dalla descrizione che emerge da alcuni atti del Notaio Giuseppe Genesio Filippone in cui sono annotati i particolari del­le vare commissionate dal convento, non più esistente, dell'Annunziata alla Zisa, tra il 1685 ed il 1709[62].

Seguiva adesso il Clero, ordinatamente disposto in Semi­naristi, "Chierici, Preti semplici prima, e dopo i Dottori To­gati; indi i Beneficiali delle Parrocchie, e poscia il Chiericato della Cattedrale; ed ultimamente il Capitolo"[63]. Poi erano 26 cavaieri vestiti tutti con la maggior pompa che si habia mai vi­sto… innante degli quali andavano le trombe della città… e la musi­ca… e sequivano appresso 30 torcioni in asta portati da 30 preti… e finalmente sequiva la Gloriosa Cascia della Gloriosa Et in mortali S. Rosalia[64], splendente per i suoi cristalli e per il tessuto d'oro che ne raccoglieva all'interno le Spoglie. Fu portata a spalla da Don Geronimo di Napoli Barone della Pietra e Principe di Resuttano, da Don Vincenzo Maria di Termine Barone di Beribaida e Principe di Casteltermini, da Don Car­lo Settimo Calvello e da Don Berlinghiero Ventimiglia[65], e per dare maggiore pompa al solenne passaggio delle sacre re­liquie fu commissionato dal Senato un baldacchino di tela d'argento con su ricamate rose e gigli e le lettere S.P.Q.P. del­lo stesso Senato e T.F.VP, iniziali di tabula felicis urbis Panhormi, sostenuto da sei aste e portato in processione da Don Ma­rio Gambacorta Marchese della Motta, da Nicolo Montaperto Uberti Marchese di Montaperto, da Don Antonio Morso Marchese della Gibellina, da Don Giuseppe Lucchesi Mar­chese della Delia, da Don Pietro Valdina Marchese della Roc­ca e da Don Luigi de Guzman Marchese di Maienza[66].

Al momento dell'uscita della Cassa dal Duomo, accolta da numerosi spari di mortaretti e circondata da quaranta torcioni tenuti da altrettanti Chierici, l'inizio del corteo era già giunto a Porta Felice. Dietro l'artistica urna erano 24 cavalieri con torce accese e il Cardinale Giannettino Doria affiancato dal Principe di Trabia, il più anziano dei titolati, e dal Principe di Leonforte e Conte di Raccuia, Pretore della città[67]. Infine dietro era tutto il popolo, accorso numerosissimo ed in abiti sfarzosi, essendo stato comandato dalle autorità di dismettere il lutto per tutta la durata dei festeggiamenti[68].

Il corteo così composto si snodava per le principali vie della città ed i palazzi che si affacciavano su di esse erano com­pletamente rivestiti di tessuti accuratamente disposti e spesso arricchiti da ricami.

Il passaggio dell'urna, da parte degli Ordini religiosi e da facoltosi cittadini, era salutato con la costruzione di altari, eretti lungo il percorso della solenne processione ed inseriti davanti i conventi o nei pressi degli stessi, nel caso in cui l'edificio religioso non sorgesse direttamente sulle strade inte­ressate dal transito dalle Sacre Reliquie. Per delega del Sena­to, che, come si è già visto, si era impegnato per far riuscire al meglio il solenne trionfo, soprintesero all'allestimento dei "toselli" il Razionale Don Traiano Parisi e il Tesoriere della città Don Pietro Agliata[69].

Già dirimpetto al portone del Palazzo Arcivescovile, dove erano schierati gli squadroni della fanteria spagnola[70], era stato allestito su commissione del Regio Generale Tesoriere Fortunio Arrighetti un altare, tutto tappezzato di velluto cre­misi con frange dorate, e all'interno del quale, oltre ad un di­pinto raffigurante la nuova Patrona, si potevano ammirare numerosi vasi, candelieri e reliquiari d'argento di cui due a busto contenenti le spoglie delle Sante Maddalena e Orsola. Completava l'apparato un paliotto di seta con su ricamati fiori e uccelli[71].

Al confine con il Piano del Palazzo Reale, all'inizio del Cassare, era stato allestito un altare da parte dei Canonici della Cappella Palatina, su cui era inserito un dipinto, raffigurante i Santi Pietro e Paolo, posto alla sommità dei sette gradini che lo componevano, arricchiti da numerosi vasi e candelieri d'ar­gento, e preziosi reliquiari di varie tipologie, tra cui era quello che custodiva, come riporta il Paruta, il "Preputio di Christo S. N." insieme ad altri contenenti i resti mortali di San Pietro, dei Santi Filippo e Giacomo, di Sant'Agata, di Santa Cristina, di Santa Ninfa e di San Placido e Compagni[72].

Sulla via Toledo, al confine con il Piano della Cattedrale, era stato approntato dalla rappresentanza della Nazione Ge­novese[73] (Fig. 1), che viveva nel capoluogo isolano, un gran­dioso arco, realizzato su progetto del pittore ed architetto termitano Vincenzo La Barbera[74], artista tra i primi che ripro­dusse figurativamente Santa Rosalia, proponendo quelle ico­nografie in cui la Santa è presentata ora come pellegrina, ora nell'atto di intercedere per la liberazione della città di Palermo dall'epidemia pestilenziale, come si può notare nei dipinti di Caccamo[75], della chiesa dei Quattro Santi Coronati[76] e del Museo Diocesano[77]. Fig. 1. Incisione da O. Paruta, 1651.L'effimero addobbo, disegnato, co­me si evince dall'incisione riportata dal Paruta, da Mariano Quaranta[78], si presentava come "una vera e propria archi­tettura a due ordini" e, secondo quanto sostiene ancora Teresa Viscuso, aveva molte analogie con "l'arco trionfale eseguito da Pietro Novelli per Alonzo Enriquez de Cabrerà nel 1641"[79]. Tuttavia l'impianto ancora cinquecentesco della "macchi­na" era arricchito da una serie di figurazioni plastiche che, ri­mandando metaforicamente alle virtù della Vergine palermita­na, erano espressione della nascente cultura barocca carica di elaborazioni concettose e meravigliose allegorie. Tema, infatti, del primo ordine dell'arco era l'esaltazione delle virtù eroiche e cristiane della Santuzza data dalla presenza delle statue della Giustizia, della Prudenza, della Fortezza, della Temperanza, dell'Allegrezza e della Tranquillità[80]. Altre figure allegoriche erano dipinte all'interno della volta dell'arco e raffigurava­no la vittoria di Rosalia, corteggiata da numerosi Angeli, sul Piacere, sulla Natura Maligna, sul Destino e sulla Gloria Mondana tutte rappresentate con le mani legate. Ancora le statue della Sapienza, dell'Eternità, dello Splendore Divino, della Bellezza, della Liberalità e dell'Augusta Divinità arricchi­vano l'interno dell'arco, ciascuna con iscrizioni poetiche ripre­se dai più autorevoli scrittori dell'età classica. Nel secondo or­dine si potevano ammirare due pitture, una, nella parte che guardava verso Porta Felice, raffigurante Genova che aiutata dalla Corsica sparge rose sulla città di Palermo, l'altro, nel lato verso Porta Nuova, con dipinto il Genio di Palermo che insieme al Genio del fiume Oreto, a Lilibeo, Pachino e Peloro (i tre promontori dell'Isola), rende onori alla Santa, palesando, in una simbolica unione di sacro e profano che si ripeterà nei secoli in tante altre opere di arte decorativa[81], la grande devozione alla nuova Santa Patrona non solo della sua città natale, ma di tutta la Sicilia. Sovrastava, infine, l'architettura la Vergine Ere­mita sostenuta da quattro Angeli con gigli nelle mani, simbolo della sua verginità, emergendo dallo stemma del capoluogo li­gure. Tuttavia oltre all'intento celebrativo e devozionale, l'arco commissionato dalla "Nazione" evidenziava ed esaltava la condizione economico-sociale degli stessi committenti, ed altro non era che esempio "di attestazione dell'importanza della propria presenza"[82].

Continuando ad indagare gli addobbi che arricchivano il percorso processionale, sicuramente avrà destato grande mera­viglia quello che ornava il Collegio dei Gesuiti. Infatti, lungo tutta la facciata li pilastri e scompartimenti di pietra di intaglio li quali cingono la frabica di detti studio li coprero di tila nelli quali li dipinsero di versi angioli che ogne un tenea un segnificato nelli mani, in honor di S. Rosalia con molti belli scompartimenti e nel menzo vi erano posti vintequatro quadre grandi in ognie finestra depinti de chiaro e, oscuro nelli quali se vediano molti vertu di detta santa e nel menzo vi erano scompartite 24 scuti con soi scartocci e nel menzo il nome di gesù et 22 tabelloni scartociate nelli quali, vi erano diversi nobelisime versi in honor della santa in latino, in greco et in ebraico[83]. Erano stati anche allestiti tre altari, uno per ogni Casa (Professa, Noviziato, Collegio): le due altari posti nelli cantoneri di detti studij gli erano posti li soi scalini li quali andavano sdiminuendo informa di monti, con diversi vasi dorati con soi rami di sita fatti a pignio e, con diversi vasi di argento e statuij di argento con diversi reliqui con diversi candileri di argento con li suoi lumi acesi e soi palie di recamo di oro fatte a prospetiva di molti valori con soi toselli carmescini con recamo di oro atorno e da piede gli soi candileri grandi di argento con soi torci acesi, et a ogne altaro vi era posto un quadro di valuta con la figura di S. Rosalia conposti con tanto bello ordine[84]. Anche sull'altare posto al centro era un quadro con la figura di S. Rosalia, ma era incorniciato, stando sempre a quanto riporta l'anonimo cronista autore dell'inedito mano­scritto della Biblioteca Comunale di Palermo, tutto atorno di domanti e robini, e perii con tanto bello ordine che era stupore di tut­ti i resguardanti[85]. Arredavano ancora l'insieme numerosi vasi e reliquiari d'argento ed al centro di essi troneggiava un grande ostensorio di oro massiccio tutto smaltato di varie colore di smalto con la sua raya tutta piena di diamanti di mirabil prezo. Completava il tutto un palio di tila di oro reccamato di oro, sopra oro con un teatro a prospetiva e da piedi gli erano anatro grandissimi candileri di argento con soi torci acesi[86]. Sebbene l'ignoto cro­nista si soffermi nella descrizione dei preziosi oggetti che de­coravano l'altare, non è possibile identificarli con le opere co­nosciute e pubblicate, come il paliotto con l'Agnello mistico, anch'esso con un teatro a prospettiva, ma arricchito dalla pre­senza di prezioso e simbolico corallo[87].

Anche gli addobbi serici e l'altare del monastero del SS. Salvatore, che sorge di fronte il Collegio Gesuita, erano stati commissionati dagli stessi Padri, e pure risplendeva per la ric­chezza degli ornati la casa ad esso confinante appartenuta al Mastro Cappellano del Duomo, Don Marco Gezzio, da cui il Cardinale Giannettino Doria aveva assistito a buona parte della sfilata[88].

Altri altari che riempivano l'attuale Corso Vittorio Emanuele erano quello dei Servi di Dio, detti Fatebenefratelli, po­sto all'ingresso del vicolo SS. Salvatore[89], e l'altro del Mo­nastero delle Vergini, posto all'ingresso dell'omonima strada, composto da un baldacchino di velluto cremisi, paliotto rica­mato e candelieri d'argento[90].

Arrivati al Piano dei Bologni si poteva ammirare il son­tuoso apparato allestito dai Padri Carmelitani del convento di San Nicola[91]. Era tutto di damasco con ricami d'oro ed al centro mostrava un dipinto raffigurante la Santa festeggiata, illuminato da numerosi candelieri d'argento, arricchito da vasi con fiori di seta e completato da un paliotto ricamato ancora con fili d'oro.

Proseguendo lungo la via Toledo, adesso il corteo varcava il grandioso arco commissionato dal Senato[92] (Fig. 2), dise­gnato da Gerardo Astorino[93] su ideazione di Vincenzo Sitajolo[94], e tutt'oggi visibile, in una interpretazione distante dalla mano dell'autore, nell'incisione di Francesco Nigro riportata da Onofrio Paruta (Fig. 3). Sostenuto da 48 colonne addossate a pilastri da cui scaturivano quattro archi creando un vano interno con volte a crociera, riproponeva concettosamente, attraverso le figurazioni allegoriche che ne arricchi­vano ogni parte, la conquista delle varie Virtù da parte di San­ta Rosalia, iconologicamente ideata dalla stesso Sitajolo, ma letterariamente palesata da componimenti appositamente creati da Filippo Paruta, segretario del Senato e padre di Onofrio[95].

Fig. 2. Inchiostro su carta, ms. del 1625. B.C.P. (Qp C 75). Fig. 3. Incisione da O. Paruta, 1651.

 Ogni angolo della grandiosa architettura era posto di fronte ad uno dei quattro cantoni e sotto la "protezio­ne" di ciascuna Santa raffigurata nel terzo ordine di quella parte dell'ottangolo, Rosalia, posta in cima a tutto l'apparato, acquisiva determinate virtù, non prima, però, di essere stata "irrorata" dalle acque di uno dei simbolici fiumi plasticamente raffigurati alla base della macchina. Così sotto lo sguardo di Santa Oliva era rappresentato il Gange insieme alle statue della Prudenza, della Verginità, della Pudicizia, dell'Innocen­za, della Costanza, della Perseveranza e della Pace. Sotto gli auspici di Santa Cristina erano poste le figure della Tempe­ranza, della Vita Attiva, dell'Elemosina, della Liberalità, della Misericordia, della Modestia e dell'Affabilità, precedute dalle finte acque del fiume Nilo. Di fronte il lato del Teatro del Sole in cui è inserita Santa Ninfa erano il fiume Tigri, la Fortezza, la Vita Contemplativa, l'Orazione, la Pazienza, l'Umiltà, la Vendetta e la Sicurezza. Ai piedi di Sant'Agata si potevano notare le figurazioni dell'Eufrate insieme alla Giustizia, alla Carità, alla Pietà, alla Benignità, all'Obbedienza, alla Mansue­tudine e alla Magnanimità. La committenza da parte del Senato di tali architetture, nonché dell'organizzazione di tutta la manifestazione, mirava alla conquista del consenso della mas­sa, "stimolando un entusiasmo di tipo campanilistico"[96], anche attraverso la meraviglia e la devozione.

Superati i quattro canti, ecco che il corteo andava incon­tro ad altri due altari. Uno era quello allestito dal Monastero di Santa Caterina[97], dentro cui era inserito un quadro raffi­gurante lo Sposalizio della Santa titolare, illuminato da vari candelieri d'argento che poggiavano su una mensa con paliotto ricamato. L'altro era quello della chiesa di San Matteo[98], arricchito da tessuti damascati con frange dorate, entro cui era un simulacro della Madonna, vestito di tela argentata e af­fiancato da sei candelieri d'argento[99].

Seguiva l'altare eretto dal Beneficiale Don Vincenzo Domenichi, amministratore parrocchiale della chiesa di Sant'An­tonio Abbate[100]. Formato da un grande baldacchino di tes­suto dorato e da un paliotto con ricami in fili d'argento, pre­sentava al suo interno un quadro che riproduceva un'immagi­ne di Santa Rosalia secondo un'iconografia molto antica che riprendeva una raffigurazione della Santa Eremita conosciuta attraverso un antichissimo quadro, una volta posseduto dal Monastero della Martorana e oggi al Museo Diocesano[101], che la ritraeva in abiti di monaca basiliana, come la riproduce il Cascini[102]. Attorno al dipinto era una cornice di dama­sco rosso arricchito da perle e diamanti[103].

Proseguendo ancora per il Cassare, si poteva notare il sontuoso altare fatto dai Padri della Congregazione di Sant'Ignazio all'Olivella, superbo nei damaschi rossi, nei rica­mi in fili d'oro, negli argenti e nel paliotto di reccamo di oro di molta valuta[104], che circondavano un ritratto della Santa Vergine, arricchito da una serie di angeli con diverse candele accese nelle mani.

Nel "crocicchio dei Librari"[105], in quel tratto in cui la via Toledo era attraversata dalla strada che dal quartiere della Loggia portava a San Francesco d'Assisi, era stato innalzato dalla Nazione Catalana un altro arco trionfale[106] (Fig. 4).

Fig. 4. Incisione da O. Paruta, 1651.


Disegnato da Pietro Albina[107], figlio del più famoso Giu­seppe detto il Sozzo, rappresentava "quell'ibrido e particola­re linguaggio in cui la struttura architettonica si riveste, sen­za soluzioni di continuità, di decorazioni di gusto plateresco"[108]. Sostenuto da otto colonne scanalate, presentava dipin­ti nei piedistalli di quest'ultime le insegne della Nazione e ventitré Virtù alludenti alle qualità della Santa[109]. Inoltre in alcuni scudi, posti nel lato verso Porta Felice e verso Porta Nuova, erano raffigurate delle metafore significanti l'inter­cessione della Vergine romita per la liberazione dalla peste, tra cui si poteva notare dipinto, in uno, un torrente con ab­bondanti acque che, sgorgando dal Monte Pellegrino, sem­brava inondare la città di Palermo, purificandola così da tutti i mali, in un altro la Santa in atto di far piovere sulla stessa città, alludendo così al medesimo significato, e in un altro ancora l'estinzione di un incendio sempre attraverso l'inter­vento di miracolosa pioggia. Tra le colonne, che come si è detto sostenevano l'arco, erano inserite le statue simboleggianti la Catalogna, il Regno di Aragona, Valenzia e Maiorca[110]. Entrando all'interno dello scenografico apparato si po­tevano ammirare, in alto numerosi Angeli con cartigli e co­rone, ai lati due dipinti in cui erano rispettivamente rappre­sentati la Santa che riceve il permesso dal Rè a ritirarsi a vita ere­mitica e ancora Rosalia in preghiera mentre additava la città di Palermo posta ai suoi piedi. All'esterno, poi, dell'arco erano le figure di Sansone ed Ercole poste a simbolo della forza fisica che ebbe la Santa nel sopportare le traversie della vita eremi­tica. Il secondo ordine era composto da una loggia, entro cui stava un "coro di Musici", affiancata dalle statue di quattro Sante Vergini, ognuna protettrice di una città spagnola: si potevano notare, infatti, i simulacri di Santa Eulalia, per Bar­cellona, di Santa Engrazia per Saragoza d'Aragona, di Santa Matrona, per Valenza, e di Santa Prassede, per Maiorca. Infi­ne sormontava il tutto Santa Rosalia inginocchiata ai piedi del "Monte Serrato" dove era anche la Madonna con il Bam­bino.

In quella che una volta era chiamata la "strada delli Bottari"[111], oggi via Bottai, era stato allestito, da parte dei Padri del Convento di San Francesco d'Assisi, un altro ricco altare in tessuto e frange dorate e caratterizzato dalla presenza di un simulacro della Madonna della Conzectione sopra una nuvola… la quali figura con detta nuvola erano di argento massizo di martello[112]. Certamente l'anonimo cronista non descrive la statua dell'Immacolata che oggi la confraternita del Porto e Riporto si occupa di trasportare in processione. Infatti questo simula­cro fu commissionato da Gian Battista De Leonardi nel 1646 e terminato l'anno successivo[113].

Di fronte la strada dei Bottai, all'ingresso della via dei Chiavettieri, era situato l'apparato dei Padri Domenicani di Santa Zita. Sollevato da terra da numerosi scalini, arricchito da un tabernacolo di legno intagliato e da un simulacro della Madonna del Rosario tutto ricoperto di gemme, l'altare, co­perto da un grande ombrello da cui discendeva una lampada d'argento, era affiancato da due angeli con cornucopie ed era riempito da varie statue di Santi di "fino argento" con reli­quie, ed altre custodie a busto e di altre tipologie[114].

Giunti alla chiesa di Santa Maria di Porto Salvo, tutta ri­vestita di preziosi tessuti, si poteva ammirare un'articolata scenografia commissionata da un tal Francesco Consale com­posta da quattro fontane, una d'acqua, una di vino, una di latte e l'ultima d'olio, che, insieme a dodici angeli, facevano cerchio attorno ad una ricostruzione in miniatura del Monte Pellegrino, su cui era rappresentata la Santa in preghiera[115].

Anche la Nazione Napoletana volle degnamente onorare la Santa Patrona. Infatti la chiesa di San Giovanni, retta da tale delegazione, si presentava ricoperta da una finta architettura che prospetticamente ricostruiva un grande portico all'interno del quale, oltre alle armi della Nazione, era riprodotta la scena dell'incoronazione di Rosalia per mano degli Angeli, affiancata da due bellissimi cori di musica concertati con bellissima arte[116]. Pare che questo apparato debba identificarsi con quello commissionato da Don Antonio Miroballo Conte della Pietra, di origini campane, che secondo il Parata rappresentava il Paradi­so, con numerosi Angeli, ed era stato disegnato da Mariano Smiriglio "pittore ed architetto famosissimo"[117].

Nel piano della chiesa di Santa Maria della Catena era l'altare dei Padri Teatini che a quel tempo reggevano la stessa chiesa. Era posto nel aria un padiglione in quatro fardi di doi colori una fardo carmescina e l'altra forchino con sua frinza di oro a tor­no; sotto …stava posta la Regina del Ciclo in una segia Regali vesti­ta di tila di oro con il suo bambino in broscia a man destra stava po­sta Santa Rosalia vestita eremita et a man sinistra stava il beato andrea avelline in genocchione, e detti figuri erano tutti di relevo del natorali con soi candileri d'argento con un palio di reccamo di oro con soi candileri grandi da piedi con sue torci accesi[118]. Anche la chiesa della Catena era Capezzata con "vistosi quadri e fini panni"[119].

Proseguendo nel percorso si incontrava la chiesa di San Nicolo alla Kalsa, rivestita da ondeggianti drappi rossi e gialli e con al centro un altare in cui era inserito un grande quadro con Santa Rosalia attorniata da "tutte le Vergini che per amo­re del suo sposo sono state crocifisse da' Tiranni"[120], che ai tempi del Paruta si poteva ammirare all'interno della stessa chiesa parrocchiale. Completava l'altare un paliotto "ricamato tutto a punta d'ago, stimato per uno de' più ricchi, superbi, e vaghi della Città"[121].

Percorsa tutta la via Toledo, il corteo, prima di attraversa­re Porta Felice, doveva ancora passare sotto l'arco trionfale innalzato dalla Nazione Fiorentina[122] (Fig. 5). Ideato da Francesco Nigro, come si evince dalle sigle poste in basso a destra rilevate nell'incisione riportata dal Paruta, presentava tutta una serie di decori basati sull'affinità che il giglio aveva e con il nome della Santa – nonché suo attributo iconografico e con lo stemma della città di Firenze. IFig. 5. Incisione da O. Paruta, 1651.l primo ordine era ca­ratterizzato dalla presenza dei simulacri delle quattro Vergini toscane Cristina[123], Reparata, Agnese e Caterina da Siena, e di sei quadri raffiguranti il primo la licenza ottenuta da Rosalia, da parte della Madonna con il Bambino, a partire verso mete desolate, accompagnata da due angeli, uno con bastone da pellegrina, l'altro con Corona di Rosario e libro, il secondo la Santa che essendo assaltata da spiriti maligni, prese un coltello e con le sue proprie mano scrisse nella rocha[124], il terzo il passag­gio della Vergine dalla Quisquina al Monte Pellegrino, il quarto l'Eremita in atto di recitare il Rosario, il quinto l'inco­ronazione della Santuzza da parte del Bambino Gesù tenuto dalla Madonna e infine il sesto in cui si poteva vedere la Santa distesa e con il capo poggiato su un braccio, quando, quasi in estasi, fu colta dalla morte. Si tratta delle stesse scene che ver­ranno scolpite sulla vara del 1631[125]. Un secondo coro di Sante dai nomi legati alla città di Firenze, Flora e Fiorenza, era presentato in atto di donare alla Santuzza corone di rose e mazzi di gigli. Nel secondo ordine dell'arco trionfale era rico­struita una complessa scena, spiegata da numerose iscrizioni, in cui si rappresentava il trionfo di Santa Rosalia su Flora, divinità pagana dea dei fiori, su Cerere, protettrice dell'abbon­danza dei raccolti, su Igiea, figlia di Esculapio e dea della salu­te, e sulla Concordia, essendo la Vergine Eremita vera garan­zia del trionfo della pace. Completavano l'architettura i simulacri delle quattro Vergini Palermitane Agata, Cristina, Ninfa e Oliva, che, circondando la figura di Santa Rosalia, simbo­leggiavano il passaggio delle loro virtù taumaturgiche (prote­zione contro le epidemie, quella di Sant'Agata, contro o a fa­vore l'intervento dell'acqua, quella di Santa Cristina, contro il fuoco, quella di Santa Ninfa, contro le carestie, quella di San­ta Oliva) alla novella Patrona.

Usciti dal centrale Cassare, la processione percorreva la strada Colonna, salutata da numerose barche, anch'esse appa­rate con superbi drappi, cariche di persone ed ordinatamente disposte sul lungomare[126]. Sul piano sotto le mura della città erano stati innalzati due altari: il primo, allestito dai Pa­dri del Convento di Santa Maria di Gesù, era tappezzato di da­masco con frange dorate e custodiva al centro una statua della Madonna con il Bambino; l'altro, commissionato dai Padri Olivetani del convento di Santo Spirito, conteneva un quadro di Santa Maria Maggiore illuminato da vari candelieri d'ar­gento[127].

Attraversata la Porta dei Greci, tutta arricchita di ritratti dei gran maestri che sonno stati nella religione di malta[128], si passava davanti al Monastero della Pietà, tappezzato da molte rose e stelle e con un altare davanti l'ingresso della chiesa con un dipinto in cui era ritratta in preghiera la Santa festeggiata[129], per poi percorrere l'attuale via Alloro. Qui si poteva ammirare un altaro con doi colonni alii cantoneri con sua archetetura e …nel menzo un balocchino di raccamo di oro con un quatro con S. Rosalia con soi candileri d'argento[130], approntato dai Padri della chiesa di Santa Maria degli Angeli, detta la Gancia, il cui edificio religioso era un trionfo di fiori.

Sulla stessa strada era stato allestito, da parte dei confrati della Madonna dell'Itria dei Cocchieri, un altare di damasco rosso, turchino e verde, entro cui era esposto un crocifìsso grandi con soi candileri di argento con vasi e fiori di sita con suo pa­lio di tila d'argento[131].

Proseguendo si giungeva alla chiesa dei Padri Scalzi di San Francesco detta la Misericordia, i quali, seppur "carreg­giati"[132] sino al giorno stesso della festa all'interno del loro convento a causa dell'epidemia, riuscirono ad approntare una altare ricco di varia suppellettile d'argento, fiori di seta e pre­ziosi tessuti[133].

Uscendo dal piano dei Lattarmi e passando sotto l'arco de­gli Ufficiali dei Giudici Pretoriani, ricchissimo di piante, fiori, quadri e drappi di seta[134], sulla destra si poteva notare la fac­ciata del Monastero di Santa Caterina, il cui altare era già stato ammirato lungo il Cassare, rivestita di damasco verde[135]. Di fronte era il sontuoso addobbo della chiesa della Martorana, caratterizzato da preziosi drappi con diversi sfiochi grandi a color di oro[136], e l'altare preparato dai Padri Agostiniani di San Nicolo da Tolentino, ricoperto di damasco turchino e con al centro un quadro della Madonna posto su una mensa con paliotto di tela d'argento[137]. Ancora arricchiva l'odierna piazza Bellini un fonte di tre ordini tutto di arteficio di fuoco il quali seruio nel passare delle gloriose Sante Reliquie di Santa Rosalia[138].

Passando una seconda volta sotto l'Arco Trionfale del Se­nato, il corteo faceva il suo ritorno all'interno della Cattedrale insieme alle preziose reliquie. Tutti gli apparati non furono tolti per una settimana, facendo degnamente cornice alla ca­valcata dei nobili, che si tenne all'indomani della processione[139], ed allo sparo della macchina dei fuochi concepita come un circolo in ottangolo con otto colonni e sopra detti colonni sequia un altro circolo triangolari con tré colonni sopra degli quali nel menzo uscio una colonna grandissima sopra la quali colonna vi era una palla di smisorata grandiza e nelle cantoneri del triangolo vi erano posti tri statui di relevo di grandiza del naturali che rappre­sentavano la Fame, la Guerra e la Peste[140]. Lo spettacolo pi­rotecnico si tenne il 12 luglio nel Piano della Cattedrale[141].

Prendevano così l'avvio, con questo primo solenne trionfo, le feste in onore di Santa Rosalia. La loro organizza­zione, perfezionandosi ed intensificandosi nei secoli, tra l'al­tro con l'introduzione nel 1686 della sfilata del Carro trionfa­le[142], acquisterà un sempre maggiore intento celebrativo delle gesta della Santuzza e, soprattutto, saranno veicolo delle imprese del Sovrano del momento, che, disertando la città di Palermo, aveva bisogno di necessaria propaganda finalizzata ad una positiva approvazione, da parte dei sudditi, del suo operato[143].

La Santa veniva così a porsi al centro della vita religiosa del capoluogo isolano, che, devotamente votato alla sua pro­tezione, le renderà omaggio, anno per anno, con solenni fe­steggiamenti, dei quali è già stato riconosciuto "il segno dell'evasione in senso moderno"[144], ma di cui si è voluto evi­denziare, oltre alla scenografica partecipazione, l'intento di­dascalico che attraverso ermetiche allegorie tendeva ad evan­gelizzare i fedeli.



[1] Cfr. M. Righetti, Manuale di storia liturgica, II, Milano 1955, pp. 318-324.

[2] Cfr. A.G. Martimort, La Chiesa in preghiera. Introduzione alla liturgia, IV, Brescia 1984, pp. 154-155.

[3] Cfr. A. Morreale, Palermo nella prima metà del Seicento, in Pietro Novelli e il suo ambiente, catalogo della Mostra, Palermo 1990, p. 40.

[4] F. Pettino, La prima processione delle Sacre Reliquie e l'arca argentea di Santa Rosa­lia, in "Festino 1948", Palermo 1948, pp. 11-14.

[5] G. Cascini, Di Santa Rosalia vergine palermitana, libri tre, Palermo 1651, pp. 59-61.

[6] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste fatte in Palermo nel MDCXXV per lo trionfo delle Gloriose Reliquie di S. Rosalia Vergine palermitana, Palermo 1651, p. 3.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem; sulle processioni a Palermo si veda anche F.M. Emanuele e Gaetani, Marchese di Villabianca, Processioni di Palermo sacre e profane, a cura di Angela Mazze, Pa­lermo 1989, passim.

[9] La consulta di medici e teologi si tenne nel mese di novembre del 1624; cfr. G. Cascini, Di Santa Rosalia…, 1651, pp. 59-61; P. Collura, Santa Rosalia nella storia e nell'arte, Palermo 1977, p. 80.

[10] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 4.

[11] Cfr. G. Cascini, De vita, et inventione S. Rosaliae, Palermo 1631; Idem, Di Santa Rosalia…, 1651, pp. 109-118; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, passim.

[12] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu con la maravigliosa e non più vista procesioni fatta nella città di Palermo del gloriosi corpu di S. Rosaliae fatta nel di VII1I di luglio lo anno MDCXXV de lunedi con lordinaza de tutti li stendardi e vari e conventi e clero con lo numero di tutte le personi li quali intervenniro acompagniri detti gloriosi S. Reliquie, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75.

[13] Cfr. G. Cascini, Di Santa Rosalia…, 1651, p. 109.

[14] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 5.

[15] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, ff. Ir – Iv; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 6.

[16] Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. Iv.

[17] Cfr. Ibidem. Probabilmente soggetto dei quadri disposti sugli archi delle navata saranno stati gli stessi Santi che si possono notare nell'incisione pubblicata da G. Cascini, Di Santa Rosalia…, 1651, tra le pp. 160 – 161; la stessa immagine è reperibile in C. Barbera Azzarello, Raffigurazioni, ricostruzioni, vedute e piante di Palermo (dal sec. XII al sec. XIX), II, Palermo 1980, tav. 39.

[18] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75,c.2r.

[19] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 8.

[20] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 2r; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, pp. 8-9.

[21] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 27r; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 35.

[22] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 35.

[23] Cfr. C. RIPA, Iconologia, a cura di P. Buscaroli, Milano 1992, p. 416.

[24] La disciplina è uno strumento penitenziale costituito da funi o catennelle usato per mortificare la carne mediante la flagellazione. Il Ripa sostiene (Cfr. Iconologia, 1992, pp. 343 – 344) che la penitenza ha "tré parti principali che sono, contrittione, confessione, e soddisfattione", e nel nostro caso erano tutte rappresentate.

[25] II lentisco è una pianta arbustiva sempreverde, tipica della macchia mediterra­nea, solitamente utilizzata per consolidare i terreni ripidi e dirupati.

[26] II bordone è un bastone, ricurvo ad una estremità, anticamente usato dai pelle­grini.

[27] Cfr. M. Praz, Prefazione a C. RIPA, Iconologia, 1992, p. XIV.

[28] Cfr. M. Fagiolo – M. L. Madonna, Il Teatro del Sole. La rifondazione di Palermo nel Cinquecento e l'idea della città barocca. Roma 1981, figg. 106-107.

[29] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 27r; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 37.

[30] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 27v; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, pp. 37-38.

[31] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 27v; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 38.

[32] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 28r; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, pp. 38-39; secondo l'ignoto autore dell'inedito manoscritto il primo quartiere a sfilare era stato quello di Santa Oliva, segui­to da quello di Sant'Agata, dalla delegazione del quartiere detto Santa Ninfa ed infine da quello di Santa Cristina.

[33] Cfr. M. VITELLA, Ruolo e ordine delle confraternite nei Festini di S. Rosalia, in Le con­fraternite dell’Arcidiocesi di Palermo. Storia e arte, catalogo della mostra a cura di M. C. Di Natale, Palermo 1993, pp. 335-340.

[34] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 28r.

[35] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 28 v.

[36] Ibidem.

[37] Ibidem.

[38] Secondo Onofrio Paruta (Relatione delle feste…, 1651, p. 40) le confraternite di Santa Maria di Piedigrotta, di Santa Maria della Vittoria, di Santa Maria della Neve, di Santa Maria dello Scudino, di Santa Maria delle Raccomandate, di Santa Maria dell'Oreto, di Santa Maria del Soccorso della Bandiera, dei Santi Elena e Costammo, del SS. Sal­vatore dell'Albergheria, di San Pietro in Vinculis, di San Giosafat e Liberale e di San Gregorio non parteciparono al corteo. Tuttavia quest'elenco, in alcune parti, non corri­sponde a quanto emerge dalle notizie riportate nell'inedito manoscritto.

[39] Cfr. N. Aricò – E. Guidoni, La geometria come principio. Momenti della progetta­zione urbana a Palermo nel sec. XVII e XVIII, in "Abitare a Palermo", Milano 1983, p. 16.

[40] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 29v; O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 40.

[41] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, cc. 29v – 34v; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 40-46.

[42] Cfr. C. Ripa, Iconologia, 1992, p. 105.

[43] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75,e.30v.

[44] La bettonica è una pianta erbacea comune nei pascolo e nei boschi. Ha foglie ovali ed oblunghe e fiori rosa – violacei.

[45] Cfr. V. Cartari, Le imagini de i Dei de gli antichi, Venezia 1571, rist. anast., New York 1976, p. 321.

[46] Cfr. C. Ripa, Iconologia, 1992, p. 66.

[47] Cfr. M. Vitella, Il Carro: simboli e allegorie in Immaginario e tradizione. Carri trionfali e teatri pirotecnici nella Palermo dell'Ottocento, catalogo della mostra, Palermo 1993, pp. 102-116.

[48] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 35r; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 47.

[49] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 35v; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, pp. 47-48.

[50] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 36r; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 48.

[51] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 36r; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 49.

[52] Ibidem.

[53] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 36v; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 49.

[54] Ibidem.

[55] Ibidem.

[56] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, cc. 36v – 37r; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 50.

[57] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 37r; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 50.

[58] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, cc. 37r – 37v; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, pp. 50-53.

[59] Ibidem.

[60] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 37v; O. Paruta, Relatione delle feste…, cit., 1651, p. 53.

[61] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 38r; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 54.

[62] Cfr. D. Ruffino, Una Vergine fra angeli e serafini, in La Rosa dell'Ercta 1196 – 1991, a cura di A. Gerbino, Palermo 1991, pp. 211-216.

[63] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 34.

[64] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 38r.

[65] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 55.

[66] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, pp. 36-37.

[67] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, cc. 38v-39r; O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 55.

[68] O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 32.

[69] Cfr. O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 9.

[70] Cfr. O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 70.

[71] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 2v; O. ParUta, Relatione delle feste…, cit., 1651, p. 9.

[72] Ibidem.

[73] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, cc. 2v-3r; D. M. La Farina, Sposizione dell'arco drizzato dalla Natione Genovesa per lo trionfo di Santa Rosalia, in O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, pp. 169-176. L'arco trionfale della Nazione Genovese era stato allestito nei pressi del Palazzo Arcivescovile perché l'alierà Arcivescovo Giannettino Doria era nativo del capoluogo ligure.

[74] Per notizie bio-bibliografiche sull'artista si veda M.C. Ruggieri Tricoli, ad vocem, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani – Architettura, I, a cura di M. C. Ruggieri Tricoli, Palermo 1993, pp. 242-243.

[75] Cfr. M. C. Di Natale, 11, 15, in Le confraternite…, 1993, pp. 146-147.

[76] Cfr. M. C. Di Natale, 11, 76, in Le confraternite…, 1993, pp. 147-148.

[77] Cfr. P. Collura, Santa Rosalia nella storia e nell'arte, Palermo 1977, fig. 25.

[78] Per notizie bio-bibliografiche sull'artista si veda M.C. Ruggieri Tricoli, ad vocem, in L. Sarullo, Dizionario…, I, 1993, p. 367.

[79] Cfr. T. Viscuso, Pietro Novelli architetto del Senato di Palermo e architetto del Regno, in Pietro Novelli, 1990, p. 89.

[80] Cfr. D.M. La Farina, Sposizione dell'arco…, in O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 170; secondo l'ignoto autore dell'inedito manoscritto (Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 3r) le Virtù rappresentate era­no PRUDENTIA VIGILANTIA FORTEZA PURITÀ L1BERTAS OBIDIENTIA.

[81] Cfr. M.C. Di Natale, Santa Rosalia nelle arti decorative, Palermo 1991, p. 33, fig. 20 e p. 54, fig. 47; M. Vitella, Il Carro…, 1993, pp. 107-109, figg. 6,7,8,9.

[82] Cfr. G. Isgrò, Feste barocche a Palermo, Palermo 1986, pp. 47-48.

[83] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 4r.

[84] Ibidem.

[85] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75,e.4v.

[86] Ibidem.

[87] Cfr. M.C. Di Natale, Scheda n. 180, in Vatican treasures – 2000 years of art and culture in the Vatican and Italy, catalogo della mostra a cura di G. Morello, Milano 1993, p. 288, e bibliografia precedente ivi citata.

[88] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 5r; O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 11.

[89] Cfr. O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 12.

[90] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 6r.

[91] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 5v; O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 12.

[92] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, ff . 6v-10v; O. ParUta, Relatione delle feste…, cit., 1651, pp. 83-135.

[93] Per notizie bio-bibliografiche sull'artista si veda G. Bongiovanni, ad vocem, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani – pittura, II, a cura di M. A. Spadaro, Paler­mo 1993, pp. 20-21.

[94] Per notizie bio-bibliografiche sull'artista si veda M.C. Ruggieri Tricoli, ad vo­cem, in L. Sarullo, Dizionario…, I, 1993, pp. 401-402.

[95] Cfr. O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 83.

[96] Cfr. G. Isgrò, Feste barocche…, 1986, p. 33.

[97] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu, ms. del 1625, B.C.P., ai segni QqC75, f. 11r.

[98] Si tratta di San Matteo il Vecchio, in quanto l'attuale edificio sacro comincia ad essere costruito nel 1633; cfr. G. Daddi, San Matteo vecchio e nuovo, Palermo 1916.

[99] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 1 Ir.

[100] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 14.

[101] Cfr. P. Collura, Santa Rosalia, 1977, fig.

[102] Cfr. G. Cascini, Di Santa Rosalia…, 1651, tra le pp. 318 – 319; secondo il Paruta la stessa immagine è stata riprodotta da Valeriane Regnartio nelle sua Vita di San­ta Rosalia, stampata a Roma nel 1627.

[103] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 1 Iv; O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 14.

[104] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 12v.

[105] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste, 1651, p. 16.

[106] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, cc. 13r-14r; S. Campati, Relazione dell'arco alzato da Catalani per lo trionfo di Santa Ro­salia, in O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, pp. 157-168.

[107] Per notizie bio-bibliografiche sull'artista si veda V. Zoric, ad vocem, in L. Sarullo, Dizionario, II, 1993, p. 7.

[108] Cfr. T. Viscuso, Pietro Novelli architetto…, 1990, p. 89.

[109] Le Virtù rappresentate erano: Foecunditas lucunda, Ubertas Inexhausta, Bonitas Communicabilis, Felicitas Publica, Pulchritudo Eximia, Nobilitas Patriae, Utilitas Communis, Splendor Regalis, Prudentia Matura, Grada Specialis, Pietas Flagrans, Magnanimitas Foecunda, Charitas Divina, Temperantia Moderatrix, Divitiae Magnificae, Magnificentia Augusta, Benignitas Amicabilis, Gaudium Universum, lustitia Regia, Fortitudo Invicta, Gloria Virginalis, Beatitudo Caelestis, Misericordia Exaitata; cfr. S. Cam­pati, Relazione dell'arco…, in O. Paruta, Relatione delle feste, 1651, pp. 157-163.

[110] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 13r.

[111] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, pp. 18- 19.

[112] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 14v.

[113] Cfr. M.C. Di Natale, V, 5, in Le confraternite…, 1993, pp. 231-232.

[114] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste…, cit., 1651, p. 17.

[115] Ibidem.

[116] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu,ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, cc. 17r.v.

[117] Cfr. O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 19.

[118] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, cc. 16v. – 17r.

[119] Cfr. O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 18.

[120] Cfr. O. ParUta, Relatione delle feste, 1651, p. 20.

[121] Cfr. O. Paruta, Relatione delle feste…, 1651, p. 19.

[122] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, cc. 18r-19r; Spositione dell'arco alzato da' Fiorentini per lo trionfo di Santa Rosalia, in O. Panna, Relatione delle feste…, 1651, pp. 137-155; T. Viscuso, Pietro Novelli architetto…, 1990, p. 89 e p. 93, nota 5.

[123] La Santa era di origini toscane; cfr. A. Amor – I. Belli Barsali, ad vocem, in Bibliotheca Sanctorum, IV, Roma 1964, pp. 330-338.

[124] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…,  ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 18v.

[125] Cfr. M.C. Di Natale, infra.

[126] Cfr. O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 20.

[127] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 19r.

[128] Ibidem.

[129] Cfr. O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 23.

[130] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 21r.

[131] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75,e.22v.

[132] Cfr. O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 26.

[133] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 23v.

[134] Cfr. O. ParUta, Relatione delle feste…, 1651, p. 29.

[135] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 23v.

[136] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, e. 24r.

[137] Ibidem.

[138] Ibidem. Un altro altare allestito lungo il percorso del corteo processionale fu quello dei Padri Cassinosi, ma non è stato possibile identificarne l'ubicazione, cfr. Spiegatione dell'Altare eretto dai PP. Cosinosi per la solennità di S. Rosalia, s.L, 1625.

[139] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75, cc. 40r. – 41r.

[140] Cfr. Relatione del Sontuosu apparatu…, ms. del 1625, B.C.P., ai segni Qq C 75,c.41r.

[141] Ibidem.

[142] Cfr. F.M. Emanuele e Gaetani, Marchese di Villabianca, Sulle celebri solennità di Palermo per Santa Rosalia, ms. del XVIII secolo, B.C.P., ai segni Qq E 88 n. 12, e. 13.

[143] Cfr. R. Santoro, Carri trionfali palermitani del primo quarto del XVJII secolo, in Le arti in Sicilia nel Settecento – Studi in memoria di Maria Accascina, Palermo 1985, pp. 193-220; M. Vitella, Il Carro…, 1993, pp. 103-116.

[144] Cfr. M.C. Ruggieri Tricoli, I Giochi di Issione, segni ed immagini della modernità nelle architetture provvisorie della Palermo borbonica, Palermo 1990, p. 194.