La bottega dell’argentiere Antonino Amato
di Maria Laura Celona
In un momento nel quale con sempre maggiore assiduità viene esaminata la problematica della specializzazione mirata, opportuno si profila il tentativo di prendere in esame le più semplici connessioni fra i moduli stilistici adottati nelle manifatture del passato e quelle ricorrenti nella produzione degli argentieri coevi. Partendo da questo assunto e grazie agli studi di grandi storici dell’arte come quelli del XIX secolo di Gioacchino Di Marzo e nel XX di Maria Accascina e ai più recenti contributi sull’arte decorativa, la maggior parte dei quali condotti da Maria Concetta Di Natale, nasce l’occasione per un’interessante confronto tra il mondo artigianale di oggi e quello del passato più o meno recente. In Sicilia, come altrove, gli argenti antichi sopravvissuti sono testimonianza del succedersi delle differenti correnti artistiche, delle numerose varianti locali dei modelli circolanti in Italia e più in generale in tutto il Mediterraneo, queste opere forniscono imprescindibile testimonianza dell’attività di generazioni di argentieri e orafi di grande perizia tecnica. Nonostante l’avvenuta dispersione, il patrimonio costituito dall’opera di questi maestri testimonia uno sviluppo e una ricerca costante di originalità espressiva, che recepisce i riflessi dell’architettura, della scultura, della pittura. Anche quando esegue il disegno d’altri, l’argentiere è libero nella traduzione tecnica dei soggetti ed è proprio in questa libertà che la sua capacità ed esperienza si possono esaltare conferendo un aspetto distintivo all’opera realizzata.
Tra gli argentieri palermitani ancora attivi e garanti della continuità della nobile tradizione argentiera siciliana è il maestro: Antonino Amato. Le origini della sua formazione artistica risalgono alla prima meta del XX secolo quando, come spesso accadeva per gli artigiani, all’età di circa dodici anni, contemporaneamente agli studi scolastici, inizia a coltivare l’interesse per l’attività d’argentiere presso la bottega del nonno materno Antonino Siddiolo, apprezzato e conosciuto artigiano del tempo, che aveva la bottega in via Argenteria vecchia nei pressi della famosa chiesa di Sant’Eligio, il Santo protettore degli orafi ed argentieri. Durante il suo apprendistato l’interesse per l’attività di argentiere diviene sempre più forte e, coadiuvato da una straordinaria manualità, acquista precocemente una particolare sensibilità nel concepire le forme e realizzare manufatti. All’età di quattordici anni, è impegnato presso la bottega del cugino Giuseppe Siddiolo e, dopo la fusione di questi con Di Cristofalo[1], per dodici anni nella realizzazione di argenteria seriale. Non pienamente soddisfatto del suo ruolo e incoraggiato dai familiari dopo avere acquisito ed essersi impadronito delle tecniche di lavorazione dei metalli e della lavorazione a banchetto della tradizione argentiera palermitana, intorno agli anni ‘60 decide di mettersi in proprio inaugurando la sua prima bottega in via Ambra n. 3 in cui si specializzerà prevalentemente nella realizzazione di manufatti di argenteria liturgica.
Nel 1974 ottiene la licenza e il marchio, una stella seguita dal numero 102 PA[2], e nel 1966 trasferisce, per esigenza di maggiore spazio, il proprio laboratorio nel centro storico di Palermo presso Palazzo Pantelleria, in piazza Giovanni Meli n. 5, in cui ancora oggi esprime la sua creatività artistica coniugando sapientemente le antiche tecniche con le ultime innovazioni tecnologiche. Il 22 luglio del 1941 sposa Rosaria Saccone e qualche tempo dopo nascono le figlie Angela e Maria Maddalena, attualmente impegnate nella bottega paterna: la prima attiva nel laboratorio e la seconda nella vendita. Il laboratorio, sapientemente organizzato, è ancora oggi uno dei più conosciuti dell’intera Regione e oltre.
Il banco da lavoro di Antonio Amato è testimone del variare delle tecniche e dei materiali, persino la luce che lo illumina ha subito, con l’andare del tempo, dei cambiamenti. Il maestro racconta, infatti, che originariamente si servivano di una boccia di vetro, sorretta da un asta posta su un sostegno di legno, colma d’acqua per direzionare e fare convergere il fascio di luce lì dove serviva. Il progresso tecnologico ha mutato le classiche produzioni artigianali al punto che ormai gli stessi attrezzi da lavoro: bulini, filiere, fustelle e stampi, precedentemente realizzati a mano, sono oggi prodotti da industrie specializzate. La tecnica dell’osso di seppia è stata soppiantata da quella a microfusione, ma vi è ancora necessità di mani esperte per la realizzazione degli intramontabili ferri del mestiere. Questi sono pezzi unici che conferiscono quel quid di personalità accompagnando la mano esperta dell’artigiano nella realizzazione di particolari tecniche come l’agemina, la filigrana, la granulazione, l’incisione, lo sbalzo e il cesello[3]. Il maestro Amato è particolarmente fiero è del momento della saldatura che, come lui stesso ama sottolineare: “è il vero banco di prova per un artigiano e se ben realizzata legittima a vero argentiere”. Antonino Amato riesce, grazie anche alla stima del Prof. Catinella, del Barone D’ara e di tanti altri illustri personaggi del mondo culturale siciliano a realizzare opere d’arte e ad occuparsi del restauro di numerosi manufatti artistici. Nei suoi lavori non soltanto la tecnica è meritevole di ammirazione, ma anche tutto quello che si muove intorno ad ogni opera. Egli si è fatto interprete dei desideri e delle esigenze di committenze laiche e profane, i suoi manufatti risentono dei suggerimenti di falegnami, incisori, restauratori, teologi, storici dell’arte e delle ideologie di confraternite, congregazioni e ordini, come quello del SS. Sepolcro di Gerusalemme di cui è Commendatore da sei anni, o la venerabile Confraternita del Porto e Riporto di Maria SS. Immacolata della Basilica di San Francesco d’Assisi di Palermo, della quale è fedele sostenitore da oltre cinquant’anni.
Recentemente iscritto dall’UNESCO fra i Tesori Umani Viventi nel Libro dei Saperi del Registro delle Eredità Immateriali, per la sua antica e prestigiosa tradizione artigiana, è oggi accreditato dalla Soprintendenza Regionale dei Beni Storici e Artistici e impegnato nel restauro di rilevanti opere d’argenteria sacra. Tra gli innumerevoli restauri dal maestro personalmente eseguiti, si ricordano: una lampada pensile della cappella di S. Rosalia presso la Cattedrale di Palermo, in collaborazione con l’argentiere Scafidi il Manto dell’Immacolata di Caltanissetta, il busto in rame della Madonna della Cintura della chiesa di S. Nicolò di Tolentino a Palermo, la cornice d’argento della Madonna dei Miracoli di Collesano, l’urna di San Giacomo a Caltagirone, la cui testa del Santo venne gravemente danneggiata durante una processione e ancora nel 1996, in collaborazione con il prof. Correnti e il maestro Gelardi, l’urna di San Giusto di Misilmeri e nel 1997, solo con quest’ultimo, la Madonna della Mercede di Palermo. Nel 1985, contemporaneamente ad altre opere di restauro, è impegnato sul territorio nazionale per la creazione di due ampolle porta oli santi per la Basilica di S. Francesco d’Assisi (fig. 1), in cui si ispira ai grandi vasi porta oli del Tesoro della Cattedrale di Palermo di cui ha realizzato anche una fedele copia[4]. Proprio la difficoltà di distinguere la copia di Antonino Amato dai tre vasi originali fornisce la misura della grande abilità tecnica e delle capacità artistiche dell’argentiere che ha mantenuto intatte le capacità di realizzazione dei grandi maestri palermitani dei secoli passati.
Nel 2001, per la celebrazione dei festeggiamenti di Santa Lucia presso la chiesa del Carmine a Cianciana, realizza per il simulacro della Santa una pregiata corona e una palma in argento, dono della famiglia Di Miceli. Ancora nel 2010 in occasione della visita a Palermo del Papa Benedetto XVI, il maestro Amato si esprime nella creazione di una statua in argento raffigurante l’Immacolata (fig. 2), la cui devozione è particolarmente sentita nell’Isola, ispirandosi all’Immacolata della confraternita del Porto e Riporto di Palermo, in cui ai piedi dell’opera, alta 75 cm, sono riprodotti gli stemmi del Papa e dell’arcidiocesi della città di Palermo.
L’organizzazione compositiva delle raffigurazioni e i modi esecutivi dei manufatti ancora oggi prodotti sono esemplari di un variegato e misurato revival[5] di vari stili caro ancora oggi alla committenza ecclesiastica siciliana, in cui si alternano ora una decorazione di ispirazione barocca che in Sicilia si era distinta conferendo ai manufatti una copiosità esuberante[6], ora un rococò ancor più variegato o ancora motivi rispondenti alle istanze neoclassiche. Fra queste opere emerge il servizio da lavabo composto da acquamanile e brocca, (figg. 3 – 4) la cui tipologia dalle linee morbide è diffusa in tutta Italia[7].
L’ornato dell’acquamanile, dalla forma ellittica con bordo mistilineo, è caratterizzato da un ripetersi di nervature verticali che evidenziano un movimento ondoso che conferisce maggior rilievo al chiarore lunare dell’argento[8], identica è la decorazione della brocca, sia sulla base circolare che sui bordi esterni della coppa sfaccettata, ornata dalla delicata ansa del manico. Il servizio da lavabo è peraltro riconducibile ad una tipologia ampiamente diffusa nel XVIII secolo come, infatti, non ricordare gli esemplari affini presenti alla Matrice Nuova di Castelbuono[9], quello datato 1744 del tesoro della chiesa Madre di Erice[10] o ancora quelli delle collezioni private palermitane Tirenna e Virga, del primo ventennio del Settecento[11].
La cospicua produzione del maestro Amato si esprime anche in altri tipi di opere d’argenteria liturgica che riecheggiano reminiscenze seicentesche, in cui l’argentiere palermitano ha potuto attingere al vasto repertorio decorativo e tipologico. Tali tematiche hanno rimandi alla produzione nelle diverse Arti decorative anche al di fuori della Sicilia. Particolari per il profilo mistilineo sono le cornici di cartagloria (figg. 5 – 6) ricche di elementi decorativi caratterizzati da un attento lavoro di sbalzo e cesello che consente questo tipo d’ornamentazione con motivi a spirale, elementi floreali e testine di cherubini alati aggettanti; in esse riecheggia l’esuberanza decorativa dello stile monumentale dei grandi maestri partenopei[12] che influenzarono la produzione a loro successiva. Le opere richiamano tra gli esemplari siciliani quelle della Collezione Virga[13].
Esemplari interessanti poiché rivelano come Antonino Amato, con il suo operato sostiene, attraverso la produzione di manufatti moderni, la memoria di opere passate che nel secolo scorso avevano trovato un grande spazio nel mercato nazionale ed estero. Le stesse considerazioni valgono anche per altri manufatti come l’acquasantiera e il leggio (figg. 7 – 8) opere di argenteria ecclesiastica pregiate non soltanto per la mera accezione tecnica e di produzione artistica generica, ma più in particolare perché sono testimonianza profonda del contesto organico delle sacre celebrazioni e degli intensi momenti devozionali a cui essa è votata.
Il leggio presenta un rivestimento in lamina d’argento interamente sbalzato e cesellato, decorato con elementi fitomorfi e conchiliformi riccamente stilizzati, e legno. Al centro dell’opera, sul piano di appoggio inclinato, è un ovale con l’aquila bicipite. L’opera ricorda, per la commistione di materiali utilizzati, gli esemplari di leggii realizzati nel XVII secolo, come quello del Museo siciliano di Mazara del Vallo[14] recante lo stemma del vescovo Orazio la Torre.
Ribadendo una consuetudine consolidata, dopo il Concilio di Trento, particolare è l’esemplare della copertina di testo liturgico (fig. 9) realizzata da Antonino Amato. L’opera è testimone di una lunga tradizione diffusasi a partire dal Seicento quando frequente divenne l’uso della legatura con lastre interamente in metallo, soprattutto in argento[15]. La produzione artistica di Nino Amato legata alla committenza di opere di arte liturgica si inserisce nella realtà siciliana del passato legandosi a forme e stili tradizionalmente molto diffusi in Sicilia e cari ancora a sacerdoti e devoti. La maestria dell’argentiere non viene tuttavia meno nella realizzazione di opere diverse, anche di uso domestico, caratterizzata da una semplicità e linearità più consona all’arte contemporanea e alla praticità delle suppellettili dei giorni d’oggi. Il fascino maggiore della produzione d’argento di Nino Amato sta nella possibilità di entrare in una bottega artigiana e vedere che resistono strumenti ed attività capaci di coniugare i temi del passato con la realtà dei giorni d’oggi.
Bibliografia
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G. Bologna, scheda III.23, in Il Tesoro della Chiesa Madre di Erice, catalogo della Mostra a cura di M. Vitella, premessa di M. C. Di Natale, Alcamo 2004.
[1] S. Barraja, I marchi degli argentieri e degli orafi di Palermo dal XVII secolo ad oggi, saggio introduttivo di M. C. Di Natale, Palermo 1996, p. 123.
[2] S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 123.
[3] Per le tecniche della tradizione orafa siciliana Cfr. R. Cedrini, Tecniche tradizionali dell’oreficeria palermitana, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della Mostra a cura di M. C. Di Natale, Milano 1989, pp. 57-60.
[4] L’opera trova raffronto nell’inventario di G. A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis per Siciliam […] acta decretaque omina, (1743) Palermo 1836, vol. I, p. 72; nell’inventario del 1801, ASPa, Conservazione di registro, anno 1772-1801, vol. 1839; e in quello del 1848, ASPa, Miscellanea archivistica, 443, Inventario della Maggior [sic] Chiesa 1848; M. C. Di Natale, scheda n. II. 97, in Ori e argenti …, 1989, p. 251; M. C. Di Natale, scheda n. 117, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, (Palermo, Albergo dei Poveri 10 dicembre – 30 aprile 2001), catalogo della Mostra a cura di M. C. Di Natale, Milano 2001, p. 435; P. Allegra, scheda n. 35 in M. C. Di Natale, Il tesoro dei Vescovi nel Museo Diocesano di Mazara del Vallo, catalogo delle opere a cura di P. Allegra e M. Vitella, Palermo 1993, p. 107; M. C. Di Natale, Il tesoro della Cattedrale di Palermo dal Rinascimento al Neoclassicismo, Palermo 2001, p. 22.
[5] F. Grasso, Le arti figurative dell’esposizione Nazionale di Palermo 1891-1892, in M. M. Ganci e M. Giuffrè, (a cura di) Dall’artigianato all’industria. L’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-1892, Palermo 1994, p. 88.
[6] M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, p. 418.
[7] Tre secoli di argenti napoletani, catalogo della Mostra a cura di C. Catello, Napoli 1988, p. 18.
[8] M. C. Di Natale, Gioielli di Sicilia, Palermo 2008 II ed., p. 10.
[9] M. C. Di Natale, scheda n. 22, in Il Tesoro della Matrice Nuova di Castelbuono nella Contea dei Ventimiglia, “Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo”, n. 1, Collana di studi diretta da M. C. Di Natale, premessa di R. Cioffi, Caltanissetta 2005, p. 63.
[10] G. Bologna, scheda III.23, in Il Tesoro della Chiesa Madre di Erice, catalogo della Mostra a cura di M. Vitella, premessa di M. C. Di Natale, Alcamo 2004, p. 106; Cfr. M. La Barbera, scheda IV.30, in Il Museo d’Arte Sacra della Basilica Santa Maria Assunta di Alcamo, catalogo della Mostra a cura di M. Vitella, Palermo 2011, p. 163.
[11] M. C. Di Natale, Ori e argenti…, 1989, p. 275 e p. 328; M. C. Di Natale, Un collezionista d’altri tempi a Palermo: l’ingegnere Antonio Virga, in M. C. Di Natale, P. Palazzotto (a cura di), Abitare l’Arte in Sicilia. Esperienze in Età Moderna e Contemporanea, Palermo 2012, p. 125 e p. 131.
[12] H. Honour, Orafi e argentieri, Verona 1972, pp. 199-201 e pp. 209-211; A. Lipinsky, Oreficeria e argenteria in Europa dal XVII al XIX secolo, Novara 1965, p. 87.
[13] M. C. Di Natale, scheda II.120 in Ori e argenti …, 1989, p. 267.
[14] M. C. Di Natale, Il tesoro dei Vescovi …, Palermo 1993, pp.73-75.
[15] B. Montevecchi – A. Vasco Rocca, Dizionario terminologico. Suppellettile ecclesiastica, Firenze 1988, p. 274.