Palazzo Mirto – Palermo

 

Di Cristina Costanzo

 

Palazzo Mirto è una delle più importanti dimore della Sicilia e conserva una prestigiosa collezione di arti applicate e arredi presentata all’interno del proprio ambiente originario.

Palazzo Mirto è stato la dimora storica dei Filangeri, una famiglia di origini antichissime che ha avuto un ruolo di primo piano nella società siciliana ed è entrata in possesso dell‘edificio all’inizio del XVII secolo, in seguito alle nozze, celebrate nel 1594, tra Don Pietro Filangeri e Francesca De Spuches. Quando, all’inizio del XIX secolo, si estingue il ramo maschile della famiglia Filangeri il titolo viene trasmesso a Vittoria Filangeri Alliata e Pignatelli che, sposando Ignazio Lanza e Branciforte dei principi di Trabia, dà origine con il figlio Giuseppe Antonio alla casata Lanza Filangeri.[1] Quest’ultima famiglia si estingue con la principessa Maria Concetta alla quale si deve la donazione del Palazzo e dei suoi arredi all’Assessorato per i Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione della Regione Siciliana con lo scopo di destinarlo alla fruizione pubblica.

Palazzo Mirto, situato tra le vie Merlo e Lungarini nel centro storico di Palermo, sede di dimore nobiliari già nel Medioevo, ha una struttura seicentesca ma è stato edificato su strutture risalenti al ‘300, al ‘400 e al ‘500 e presenta una stratificazione di stili, adattamenti e restauri succedutisi nei secoli. La prima modifica diede origine al “palazzo nobile” e risale a quando, alla fine del XVII secolo, D. Giuseppe Filangeri decise di riunire le dimore del De Spuches con i locali adiacenti; nel 1793 il principe Bernardo diede inizio al radicale riadattamento che ha reso la conformazione del palazzo molto simile a quella odierna; nel 1812 vennero costruite le stalle e fu sistemata la facciata; in seguito alle nozze del 1830 tra Vittoria e Ignazio Lanza il palazzo venne modificato per accogliere il nuovo nucleo familiare e le fonti documentano numerosi lavori di manutenzione, abbellimento e arricchimento delle sale del palazzo per tutto il corso del XIX secolo; infine nel 1983, in seguito alla donazione alla Regione Siciliana, Palazzo Mirto è stato oggetto di un accurato restauro che oltre a garantire la conservazione e la fruizione dell’immobile e della sua collezione di opere d’arte ha permesso di conoscere il susseguirsi degli interventi che hanno coinvolto l’edificio.[2]

Tali continui interventi e il fatto che l’edificio non sia il risultato di un progetto organico hanno fatto sì che la conformazione di Palazzo Mirto si distinguesse dagli altri esempi di edilizia civile barocca e fosse caratterizzata da un originale contrasto tra la regolarità e la sobrietà degli esterni e la ricchezza degli interni data da importanti arredi, quadri, sculture, suppellettili, affreschi, arazzi, cineserie e altri oggetti di grande interesse. Attualmente il monumento è quasi interamente visitabile e propone un allestimento museale fedele a quello realizzato nel primo ‘900 e comprendente parte del mobilio sette-ottocentesco.[3]

Il percorso museale si sviluppa attraverso il piano terra, il piano nobile e il secondo piano. Il visitatore accede al cortile interno del palazzo attraverso un portale di ingresso sormontato da una scultura in pietra raffigurante l’arme dei Filangeri.[4] Tale stemma, descritto nelle fonti come arma di rosso alla croce d’argento, caricata di nove campane battagliate di nero. Lo scudo accollato dell’aquila bicipite spiegata di nero, armata e linguata di rosso, coronata all’imperiale[5], simboleggia la spada del cavaliere e la chiara fama. Nel cortile si trovano le cucine principali – con pozzo, forno per il pane, fornelli a legna e a carbone e piani da lavoro in marmo su mensole di pietra – la piccola cucina – collegata, da un passavivande, alle cucine principali e, da una piccola scala, alla sala da pranzo – e un piccolo magazzino per il foraggio. Nel cortile è particolarmente interessante lo spazio delle scuderie che attualmente la collezione di carrozze Martorana. Si tratta di un ambiente nel quale colonne in marmo grigio determinano gli spazi per l’alloggiamento dei cavalli con mangiatoie in ferro e conche di pietra per il foraggio e dove si trova una fontana in marmo del XVI secolo con lo stemma dei De Spuches, descritto come arma d’azzurro al monte d’oro di tre colli caricati di una stella d’argento sormontata da un giglio d’oro[6], che allude alla ricchezza dei possedimenti e alla magnanimità della famiglia. Nello spazio adiacente sono collocate due stele in marmo bianco di Antonio Canova, realizzate nel 1814 dal grande scultore e destinate alla cappella di famiglia di Villa Mellerio a Gernetto.[7]  

Dal cortile si accede all’ingresso degli appartamenti attraverso uno scalone in marmo rosso illuminato da torciere sorrette da leoni rampanti, la cui iconografia rimanda a quella dello stemma dei Lanza – d’oro, al leone coronato, di nero linguato di rosso, colla bardatura composta d’argento e di rosso[8] – che simboleggia il coraggio e la forza del casato. Dal pianerottolo, dove è presente il busto di un nobile laureato – straordinario esempio della produzione palermitana della maiolica Malvica[9] risalente al XVIII secolo – e da una rampa di scale si accede agli altri piani.   

Il piano nobile si presenta come un susseguirsi di ambienti ricchi di arredi, decorazioni e opere d’arte. Dal vestibolo e dalla sala di ingresso – dove si trovano busti, ritratti, bassorilievi, medaglioni – illuminata da lumiere con lo stemma Filangeri e specchi settecenteschi, si raggiunge il primo salotto del piano nobile, la Sala del Novelli, così denominata per la presenza della copia dell’autoritratto del pittore, dove viene sviluppato sul soffitto il mito di Eros e Anteros e suggellata l’unione dei casati Lanza e Filangeri nello stemma riprodotto sul cassettone con intarsi in avorio. La seguente sala, il Salotto Salvator Rosa, con piccoli oli ispirati al pittore, è decorata con storie dell’Orlando Furioso e arredata con vetrine e consolles che mostrano una collezione eterogenea di oggetti preziosi. All’interno del salotto si aprono due piccoli ambienti, a sinistra, nella parte trecentesca del palazzo si trova la Saletta dei reperti e, a destra, la Stanza del teatrino, con tempere di gusto neoclassico. Il Salotto rosa è caratterizzato dalla presenza dei dipinti La flagellazione di Cristo del XVII secolo, la scena di battaglia attribuita a Brueghel e la grande rappresentazione della Battaglia a Chaldara; completa l’ambiente un ricco arredo raffinato dato da due stipi monetari di fattura meridionale in ebano e tartaruga, un elegante tavolo impero, due consolles con orologio in bronzo e tartaruga che mostra l’ora e le fasi lunari, un lampadario in bronzo e oro con stemma Filangeri. Il salotto di passaggio – con tela allegorica sul soffitto e occupato da due vetrine colme di pezzi importanti come il servizio Meissen, la produzione di Capodimonte e i piatti firmati da Nardone, decoratore napoletano della metà del XVIII secolo – fa accedere al prezioso Salottino alla cinese, con mobili e decorazioni ispirati alla moda orientale. Altri oggetti orientali da collezione si trovano nell’ambiente successivo destinato al riposo, il Salotto giallo, con soffitto con motivo allegorico, arredi Luigi XV e Luigi XVI e una collezione di porcellane e avori posta all’interno di una vetrina in tartaruga. Un passaggio centrale – con Boudoir a sinistra e Fumoir a destra – conduce al Salone degli arazzi, considerato insieme al Salone del baldacchino, tra gli ambienti più rappresentativi del palazzo. Nel Salone degli arazzi la parte centrale del soffitto è affrescata con il mito di Amore e Psiche ripreso nei sovraporte dipinti e nella cornice. Degni di nota sono l’arazzo ricamato, gli arredi, gli orologi, i candelabri, i vasi, il lampadario e le appliques in vetro di Murano. Il Salone del baldacchino è accomunato a quello degli arazzi dal ricco arredo Luigi XVI e dalla bellezza delle decorazioni. Nella parte centrale del soffitto con figurazioni allegoriche delle Stagioni e le Fatiche di Ercole, Elia Interguglielmi ha rappresentato il principe Bernardo celebrandone la gloria e le virtù. Le pareti presentano un finissimo ciclo ricamato ispirato alla Gerusalemme liberata e lo stemma dei Mirto intrecciato a quello dei Montaperto che permette di datare i lavori al XVIII secolo e di identificare il principe rappresentato con Bernardo. Il salone si apre su uno degli ambienti più scenografici del palazzo, il cortile con finto giardino pensile dove si erge la straordinaria fontana rocaille affiancata da voliere risalente alla fine del XVIII secolo. La fontana riprende il tema iconografico sviluppato nel baldacchino per celebrare Bernardo, attraverso la statua che rappresenta il principe posta in cima alla fontana. Le restanti sale del palazzo sono il Salotto Pompadour – con una deliziosa raffigurazione delle arti rappresentate da bambini sulla volta e pitture del XIX secolo, fotografie del principe e della principessa Mirto, ultimi abitanti della casa e il busto di Vittoria Filangeri – lo Studio – con diversi motivi decorativi e scene – e il Salottino Diana – con decori raffiguranti divinità ed arti. L’ultima stanza è invece occupata dall’ampia Sala da pranzo dove lo stemma dei Mirto è ripreso come motivo decorativo nelle due alzate d’alabastro e gli arredi ottocenteschi mostrano uno straordinario servizio Meissen del XVIII secolo dal raffinato decoro a insetti e uccelli e bordo brandenstein.

Conclusa la visita al primo piano si ritorna nella sala di ingresso per raggiungere il secondo piano, destinato alla vita quotidiana del palazzo e una più ristretta cerchia di persone. Il secondo piano si apre sull’ingresso – arredato con cassoni antichi, sedie rivestite in cuoio con motivi secenteschi e ritratti di antenati – dal quale si accede al Salotto dello Spagnoletto, il cui nome si deve a una copia dell’opera Sant’Onofrio di Jusepe De Ribera, arredato con salotti in stile Luigi XV e consolles in legno di fattura meridionale nonché impreziosito da oli di gusto neoclassico e vetrine ricche di oggetti. A destra si trova la Sala da pranzo dal soffitto ligneo decorato con motivi secenteschi dove sono collocati importanti pezzi in maiolica e ceramica Meissen, due pregiate consolles settecentesche in legno dorato e l’arazzo fiammingo del XVI secolo con episodio biblico. A sinistra il percorso prosegue con la Biblioteca rossa dalla quale si accede al Salotto verde, straordinario per ricchezza di arredo e gusto decorativo, dove è possibile ammirare il pavimento di maiolica con la grande aquila bicipite stemma della famiglie Lanza e Filangeri, raffinati arazzi del XVII secolo di area francese, pannelli serici del XVIII secolo con scene alla cinese, piccoli oli con nudi del Velasco, ritratti di nobili, mobili in stile neoclassico, tavolini bacheca, consolles intagliate e un maestoso lampadario di Murano; dal salotto si accede alla Camera da letto in stile impero, arredata con cassettoni settecenteschi in ebano sopra i quali sono collocati i personaggi di presepe napoletano di fine XVIII secolo, che presenta nella parete un quadro dove è ricamato Il riposo dalla fuga in Egitto e sul soffitto l’Aurora all’interno del Paradiso raffigurato sulla cornice con fiori e uccelli; seguendo un percorso che attraversa quattro studi – ambienti elegantemente arredati nei quali sono esposte collezioni di stampe, incisioni, armi, lucerne di produzione siciliana, orologi, bottiglie – un ingresso secondario, la biblioteca e la seconda camera da letto, arredata con mobili tipici delle abitazioni ottocentesche, si raggiunge la Stanza delle tabacchiere che, oltre alla raccolta di tabacchiere dalla quale prende il nome, custodisce all’interno di due vetrine impero un presepe siciliano in legno, cartapesta e stoffa attribuito al Matera e altri importanti pezzi come i piatti in porcellana di Giovine prodotti a Napoli all’inizio del XIX secolo e un esempio di fortepiano[10]. Completano il secondo piano altri piccoli ambienti e passaggi e nel palazzo vi sono altri spazi che una volta erano abitazione dei cadetti e della servitù e che oggi sono adibiti ad archivi ed uffici, non visitabili. È pregevole il fondo librario antico collocato nelle due biblioteche del secondo piano – la Biblioteca rossa arredata con librerie del XIX secolo che presentano stemmi sugli sportelli, un tavolo impero con scrittoio portatile recante lo stemma Filangeri intarsiato in avorio, due mappamondi antichi e ritratti degli antenati, e la Biblioteca con stampe, una mattonella di Caltagirone di Clemente Filangeri datata 1746 e uno scrittoio con stemma Filangeri di fine ‘700 – che raccoglie oltre mille edizioni aventi come oggetto classici latini, filosofia, scienza, storia, geografia, letteratura, religioni, armi, legge e politica.

Meritano un’attenzione particolare le straordinarie collezioni di oggetti esposti a Palazzo Mirto, testimoni delle abitudini e del gusto della società palermitana perché in Sicilia, come nel resto dell’Europa, si era infatti diffuso l’amore per il collezionismo che spesso ha dato luogo alla creazione di vere e proprie stanze delle meraviglie, Wunderkammer, in cui collezionare non solo arte ed oggetti preziosi ma anche pezzi bizzarri ed estrosi.[11] Le vetrine e le sale di Palazzo Mirto restituiscono così alla nostra conoscenza importanti collezioni d’arte. Sono preziose la raccolta di porcellane – che vanta un gran numero di pezzi di pregio come gli esempi del primo periodo di Meissen e le porcellane europee ed orientali – e la collezione di pezzi in ceramica, una antica tradizione coltivata con passione nell’isola. Oltre al già citato pavimento con le insegne della famiglia Lanza-Filangeri, bisogna ricordare il sopraporta in maiolica che, nella sala da pranzo, riproduce il mosaico di Pompei della Battaglia di Isso e la collezione di oggetti realizzati in maiolica policroma come le brocche, i vasetti e la serie di lucerne antropomorfe raffiguranti figure maschili e femminili prodotte a Caltagirone, Burgio e Palermo tra il XVII e il XIX secolo. A queste collezioni si aggiungono le raccolte di armi del XVII, XVIII e XIX secolo, ricchissimi ventagli del XVIII e XIX secolo provenienti dalla Cina e dalla Francia con stecche in avorio e madreperla, merletti, smalti e oro raffiguranti scene galanti ed allegoriche, vetri del XVI, XVII e XVIII secolo provenienti da Venezia, orologi da persona e da carrozza del XVIII e XIX secolo presenti nella maggior parte delle sale, presepi di fattura napoletana e palermitana del XVIII e XIX secolo ed onorificenze dei Cavalieri di Malta e dell’ordine di San Gennaro.

Palazzo Mirto si rivela quindi uno straordinario esempio di dimora storica, tra le più complete e meglio conservate della Sicilia, diventata patrimonio pubblico e museo, nella quale il visitatore può fruire di una collezione di arti applicate di alto livello e vivere una significativa esperienza culturale.

 

Bibliografia essenziale

 

G. Davì, E. D’Amico, P. Guerrini, Palazzo Mirto. Cenni storico-artistici ed itinerario, Palermo, s.d.

G. Davì, Palazzo Mirto, in B. C. A. Beni Culturali e Ambientali Sicilia, a cura dell’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Palermo, anno V – N. 1-2 1984, pp. 81-84

I. Buttitta, Il fondo librario antico di Palazzo Mirto, Palermo, 1987

G. Davì, La fontana di Palazzo Mirto, Palermo, 1994

T. Du Chaliot (a cura di), Palazzo Mirto, Palermo, 1999

V. Abbate (a cura di), Wunderkammer siciliana. Alle origini del museo perduto, Napoli, 2002

M. E. Volpes (a cura di), Invito a Palazzo Mirto, Palermo, 2008

 




[1] Secondo alcune fonti la famiglia Filangeri discenderebbe dal cavaliere normanno Turgisio e da suo figlio Angario, arrivati in Italia nel 1045 con Roberto il Guiscardo. Sono inoltre documentate, a Nocera, l’esistenza di una famiglia che per ricordare il padre Angerio prese il nome di “fili Angerii” poi divenuto “Filangeri”, “Filingeri” e, in territorio napoletano, “Filangieri”, e in Sicilia la presenza di Riccardo Filangeri – nipote di Giordano viceré di Sicilia nel 1239 nonché figlio di Riccardo maresciallo dell’imperatore Federico II e suo viceré a Gerusalemme – che per sfuggire agli Angioini si stabilì sull’isola dando inizio al ramo siciliano della dinastia. Secondo altre fonti, invece, le origini della famiglia risalirebbero all’incoronazione di Ruggero alla quale sembra sia stato presente Tancredi Filangeri, ma è a partire dal XIII secolo che esiste una documentazione relativa alla famiglia che si distinse sia per il possesso di numerosi feudi sia per la presenza di personalità che ottennero titoli importanti come quello di Principi di Mirto. (Cfr. G. Davì, E. D’Amico, P. Guerrini, Palazzo Mirto. Cenni storico-artistici ed itinerario, Palermo, s.d., pp. 7-8)

[2] T. Du Chaliot (a cura di), Palazzo Mirto, Palermo, 1999, pp. 13-15.

[3] G. Davì, Palazzo Mirto, in B. C. A. Beni Culturali e Ambientali Sicilia, a cura dell’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Palermo, anno V – N. 1-2 1984, pp. 81-82.

[4] Per uno studio su stemmi e famiglie nobili in Sicilia si consultino i testi Filadelfo Mugnos, Teatro genologico delle famiglie del Regno di Sicilia, Arnaldo Forni Editore, Bologna, 2004; Massimo Ganci, I grandi titoli del Regno di Sicilia, Arnaldo Lombardi Editore, Siracusa-Palermo, 1988; A. Mango, Nobiliario in Sicilia, ristampa anastatica 1912-1915, Palermo, 1970; F.M. Emanuele e Gaetani, Della Sicilia nobile, ristampa anastatica, Arnaldo Forni Editore, Bologna, 1986. 

[5] A. Mango, Nobiliario in Sicilia, ristampa anastatica 1912-1915, Palermo, 1970.

[6] Ibidem.

[7] Per la ricostruzione di questa vicenda si veda G. Davì, S. Riccobono, Antonio Canova, Palermo, 1992.

[8] Cfr. A. Mango, op. cit.

[9] Per approfondire lo studio delle maioliche e delle ceramiche siciliane si vedano L. Arbace e R. Dandone (a cura di), Terzo fuoco a Palermo 1760-1825. ceramiche di Sperlinga e di Malvica, Arnaldo Lombardi Editore, Palermo, 1997 e A. Ragona, La maiolica siciliana, Sellerio, Palermo, 1986.

[10] Il fortepiano è lo strumento inventato da B. Cristofori nel 1709 diventato pianoforte nel XIX secolo. L’esemplare di Palazzo Mirto si trovava nei magazzini dell’edificio e una volta restaurato è stato collocato nella stanza delle tabacchiere.

[11] Sul fenomeno della Wunderkammer in Sicilia si veda V. Abbate (a cura di), Wunderkammer siciliana. Alle origini del museo perduto, Napoli, 2002