Museo Stibbert

 

 di Ivana Bruno

 

Case Museo

 

Firenze,Museo Stibbert

Armature e costumi in scena sui colli fiorentini

Un lungo corteo di cavalieri e fanti armati di tutto punto accoglie i visitatori e li trasporta nell’atmosfera fuori dal tempo di quello che Frederick Stibbert (1838-1906) chiamò sempre il ‘mio museo’ e che, alla sua morte, passò al comune di Firenze sotto forma di fondazione privata (testamento citato in Boccia 1983, p. 3).

Stibbert, di padre inglese e madre italiana, educato in Inghilterra al culto della bellezza e della forza del corpo, trovò nella città toscana il luogo ideale per dedicarsi alla sua principale passione, lo studio e la collezione di armature e costumi antichi, che aveva acquistato in gran quantità durante i suoi viaggi in Europa e nel Medio ed Estremo Oriente. Nell’Ottocento, Firenze, terra natale di Dante e culla dell’arte dei primitivi, divenne meta prediletta di poeti, scrittori, collezionisti, artisti e studiosi inglesi, molti dei quali vi rimasero stabilmente e la elessero ‘patria dello spirito’ (Baldry 1997, p. 31). In questa colonia inglese vi erano anche grandi conoscitori, tra cui John Ruskin (1819-1900), Joseph Crowe (1825-1896), Herbert Horne (1864-1916), Bernard Berenson (1865-1959). Ad essi si deve la riscoperta di modelli, tecniche e stili dell’arte del Tre e Quattrocento, che portò alla ripresa di una feconda produzione artigianale e alla diffusione di stilemi preraffaelliti e neoquattrocenteschi.

 

 

 

In questo contesto, Stibbert scelse il colle di Montughi per creare la propria casa-museo, dove esporre le raccolte di armi e armature europee e orientali dal quattro al settecento e trascorrere i mesi più caldi dell’anno. Qui, tra il 1870 e il 1883, restaurò un’antica villa, in origine proprietà della famiglia Davanzati, affidandosi all’architetto Giuseppe Poggi (1811-1901), ad artisti e decoratori, come il pittore Gaetano Bianchi (1819-1892) o lo scultore Augusto Passaglia (1838-1918), che erano stati i principali artefici, con i loro mecenati, della rinascita artistica della città e del restauro di numerosi palazzi del XIV e XV secolo.

L’architettura, dominata da una torre con merli, rievoca un castelletto medievale e si affaccia su un ampio giardino, di impronta romantica, con un laghetto, sulle cui rive si specchia un piccolo tempio di gusto neoegizio. Ha una facciata ricoperta di stemmi nobiliari che ricorda il cortile del fiorentino palazzo del Bargello. Gli interni furono decorati e allestiti secondo le direttive di Stibbert, che utilizzò i più svariati modi per ricreare in ogni stanza – dalle tappezzerie agli arredi – l’ambientazione e l’atmosfera più congeniale alle raccolte da esporre. Nacquero così ambienti come la Sala della cavalcata, scenario ideale per ospitare le armature del cinquecento, o la Sala moresca ispirata all’Alhambra di Granada che accoglie la raccolta di armature islamiche.

Il collezionista animò le armature ponendole su manichini in legno, creati da artigiani, che furono perfino vestiti e atteggiati in pose da battaglia. Anche per questo motivo raccolse una gran quantità di tessuti, prevalentemente rinascimentali e di provenienza fiorentina, che comprendevano stoffe, paramenti sacri, ricami e soprattutto abiti. Di questi ultimi, alcuni furono riadattati per vestire i manichini o realizzare le bardature dei cavalli, altri, con un vasto campionario di accessori, furono esposti nelle sale. Tra i costumi spicca l’abito indossato da Napoleone per l’incoronazione a re d’Italia.

 

 

 

In quell’operazione Stibbert non ebbe scrupoli di aggiungere accessori dubbi, o addirittura falsi, a frammenti originali, pur di esporre oggetti completi. Così spesso fece rifare artigianalmente pezzi frammentari, imitando le tecniche antiche. Un metodo che non riservava solo alle armature, ma estendeva a tutte le opere del suo museo ed anche ai mobili, spesso ricostruiti in stile per completare l’arredo o sottoposti a restauri tali da farli risultare alla fine falsi. Ricorse quindi alle botteghe artigianali più note di Firenze. Alla manifattura Cantagalli, famosa per la capacità di far rivivere le tecniche della ceramica antica, commissionò ad esempio piatti istoriati perfettamente simili a quelli rinascimentali, che furono inseriti negli archi delle porte e sotto i davanzali. Per ricoprire le pareti usò in molti casi fastose tappezzerie in cuoio provenienti probabilmente da qualche antico palazzo spagnolo o fiorentino e da lui comprate in blocco.

Anche l’acquisto di mobili (tra i quali rari cassoni toscani del quattrocento e il tavolo in malachite eseguito da Philippe Thomire, per Girolamo Bonaparte), arazzi, gioielli e dipinti era dettato soprattutto dal desiderio di una migliore comprensione e ricostruzione storica della raccolta di armi. Nella scelta dei dipinti era attratto soprattutto dai ritratti, per i costumi indossati da personaggi raffigurati, come in quelli dei sovrani di Spagna o della famiglia Medici.

Il museo, in gran parte modificato dal primo direttore Alfredo Lensi, che ricoprì tale carica fino al 1954, anno della sua morte, è in corso di riallestimento. I lavori intendono riportare la casa alla sua primitiva identità, preferendo una lettura globale della collezione alla scelta di evidenziare singole opere più importanti.

 

Bibliografia

L.G. Boccia, Il Museo Stibbert L’armeria europea, 2 voll., Electa, Milano 1976.

L.G. Boccia, Guida al Museo Stibbert, Becocci, Firenze 1983.

L.G. Boccia – G. Cantelli – F. Maraini, Il Museo Stibbert: i depositi e l’archivio, 2 voll., Electa, Milano 1976.

I. Bruno, Museo Stibbert, Firenze, in M.C.Mazzi, In viaggio con le muse, Edifir, Firenze, 2005, pp. 224-225.

G. Cantelli, Il Museo Stibbert, 2 voll., Electa, Milano 1976.

Frederick Stibbert gentiluomo, collezionista e sognatore, “Museo Stibbert Firenze” (2000) 3.