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II.10_67

Enrico Cavallaro
Particolari decorativi
Seconda metà del XIX secolo
Tecnica mista su carta
Inv. 67
76×56 cm
In basso a destra: “E. Cavallaro”
Inv. 168
260×55,5 cm

Il patrimonio storico-artistico del Teatro Massimo include due dipinti dal soggetto analogo realizzati da Enrico Cavallaro (Palermo, 1858 – 1895), pittore, decoratore e scenografo palermitano. Figlio dello scenografo teatrale Giuseppe Cavallaro, da cui ricevette i primi insegnamenti artistici, Enrico Cavallaro fu professore di decorazione e ornato nella reale Scuola d’arte applicata all’industria «ma fu nel rappresentare a fresco soggetti ornativi e fantastici che egli acquistò maggiormente lode e stima dagli intenditori più gentili e raffinati» (S. Marino Mazzara, in «Il Giornale di Sicilia», 17-18 maggio 1929). Cavallaro si distinse come decoratore nel clima artistico palermitano di fine Ottocento che vide operare, spesso l’uno accanto all’altro, autori come Carmelo Giarrizzo, Giovanni Lentini, Michele Cortegiani, Francesco Padovano e, oltre alle decorazioni di dimore private come Palazzo Ganci e Palazzo Mazzarino, intervenne nei teatri Politeama e Massimo.

Una delle due pregevoli opere di Cavallaro, restaurate nel 1987 ed entrate a far parte della raccolta del teatro secondo modalità che al momento si ignorano, rappresenta un volto femminile che, al di sopra di due creature marine, sostiene una cornucopia (inv. 67). Presumibilmente eseguita come studio dal vero, è raffrontabile con il capolavoro dello scultore siciliano Antonello Gagini (Palermo, 1478 – 1536), la Tribuna marmorea della Cattedrale di Palermo, commissionata nel 1507 dall’Arcivescovo Giovanni Paternò e smembrata alla fine del XVIII secolo, oggi in parte visibile alla Cattedrale e al Museo Diocesano di Palermo. In particolare l’opera di Cavallaro si offre al confronto con i dettagli decorativi delle paraste della tribuna del Gagini in cui, come sottolineato da Gioacchino Di Marzo, «con vaghi avvolgimenti di foglie, con putti, vasi, maschere, sirene e strani grotteschi animali viene dato libero campo a’ capricci del gusto, il quale però guidatovi, dal miglior sentimento dell’arte, vi attinge in vero il sommo della bellezza» (G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, Tipografia del Giornale di Sicilia, Palermo1880-1883, p. 236).

È differente per formato, ma analoga nel riferimento alla Tribuna gaginiana, l’opera dello stesso autore con numero d’inventario 168.