135a – 135b

135

Fototipia Danesi
135 a: Fototipia della Sezione longitudinale del Teatro Massimo di Palermo (Tav. VI)
135 b: Fototipia della Sezione trasversale del Teatro Massimo di Palermo (Tav. V)
Seconda metà del XIX secolo
Fototipia
33,5×53,5 cm ciascuna
Inv. 135 a, 135 b
135 a: In alto: “TEATRO MASSIMO VITTORIO EMANUELE IN PALERMO / Tav. VI”, in basso: “G.B.F. BASILE ARCHITETTO. SEZIONE LONGITUDINALE. ROMA FOTOTIPIA DANESI”
135 b: In alto: “TEATRO MASSIMO VITTORIO EMANUELE IN PALERMO / Tav V”, in basso: “G.B.F. BASILE ARCHITETTO. SEZIONE LONGITUDINALE. ROMA FOTOTIPIA DANESI”

Il Teatro Massimo di Palermo custodisce le fototipie che, come si evince dalle iscrizioni, documentano la sezione longitudinale e la sezione traversale del teatro. La fototipia, maggiormente nota come fotocollografia secondo la definizione ufficiale impiegata durante il Congresso Internazionale di Fotografia tenutosi a Parigi nel 1889 ma detta anche eliotipia e albertipia, è una particolare procedura di stampa fotografica basata sull’uso di una matrice in gelatina bicromata e inchiostri a base grassa. La definizione di fototipia – dal greco ϕώς, ϕωτός “luce” e τύπος “impronta” – si riferisce a uno dei processi fotomeccanici in piano per stampe antiche. Il nome “phototypie” venne utilizzato per la prima volta da Tessié du Mothay e Maréchal de Metz nel 1867. La tecnica si basava sull’uso della gelatina bicromata che, inumidita leggermente, assorbe l’inchiostro grasso nelle parti esposte alla luce e non nelle altre. Il procedimento prevedeva che uno strato di gelatina bicromata sensibile fosse steso su una lastra di cristallo smerigliato, quindi questa veniva esposta alla luce filtrata attraverso un negativo fotografico del soggetto da riprodurre. A seconda dell’azione della luce, la gelatina si presentava più o meno indurita nelle diverse zone dell’immagine, determinando un’adesione variabile dell’inchiostro e consentendo di ottenere gli effetti chiaroscurali. Il procedimento che trova origine nelle ricerche dello scienziato e chimico francese Alphonse Poitevin fu perfezionato nel 1868 da Joseph Albert di Monaco di Baviera, seguito nel 1870 da Obernetter ed Edwards, e si diffuse in tutta Europa per l’illustrazione dei libri. Nel 1878 la prima edizione italiana del saggio di Charles Darwin The Expressions of the Emotion in Man and Animals presentava le riproduzioni fototipiche realizzate dai fratelli Doyen; in Italia l’editore veneziano Ferdinando Ongania fu tra i primi a utilizzare la fototipia su grande scala con la stampa del volume Dettagli di altari, monumenti, sculture, ecc. della Basilica di San Marco in Venezia comprendente quattrocentoventicinque tavole. La famiglia Danesi, attiva a Roma dagli inizi del XIX secolo con Michele e i suoi figli Cesare e Camillo, si specializzò nella fototipia e ottenne diversi riconoscimenti in occasione di manifestazioni importanti come l’Esposizione Nazionale di Milano del 1871 e l’Esposizione di Parigi del 1878. Tra coloro i quali impiegarono questa tecnica si segnalano anche Alinari e Paganori a Firenze, Nimas, Alfieri & Lacroix e Weintraub a Milano. All’inizio del XX secolo la fototipia fu ampiamente utilizzata per la stampa di cartoline illustrate.

Le fototipie del Teatro Massimo sono state oggetto di restauro nel 1987.

Bibliografia

A.M. Fundarò, Il concorso per il Teatro Massimo di Palermo…, 1974, ill. a p. 24, n. 11 (135 a), n.12 (135 b).